Marco Giusti per Dagospia
la maman et la putain
Certo è un po’ una cafonata passare dall’incredibile riproposta del capolavoro di Jean Eustache “La maman et la putain” con Jean-Pierre Léaud, Françoise Lebrun e Bernadette Lafont, tre ore e mezza di dialoghi fitti, di monologhi incredibili, di continui cambi di punti di vista, di guerra fra un uomo e due donne che forse sono la stessa donna e tutte le donne, di piccole stoccate a “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri e esaltazione dei western di Leone (“Vive Leone! Vive le western italienne”) all’apertura del Festival con Michel Hazanavicious che fa il remake, anche divertente, del film di zombi giapponese “One Cut of the Dead” di Shinichiro Ueda, dove gli zombi attaccano una piccola troupe di un film di zombi.
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E, cafonata nella cafonata, francamente di pessimo gusto, aprire, subito dopo il tappetone rosso, con un messaggio del residente ucraino Zelensky e poi partire con gli zombi e il bagno di sangue a gogo. E dire che per l’occasione, il restauro del film di Eustache, era venuto un ormai evaporato Jean Pierre Léaud, la sublime Françoise Lebrun, allora donna di Eustache, accompagnata da Gaspar Noé, che la aveva voluta come protagonista di “Vortex” assieme a Dario Argento, proprio in omaggio alla sua interpretazione di Veronika e il grande monologo finale sulle “puttane” (“io sono stata scopata come una puttana…”). Per non parlare delle sue battute sul sesso (“Perché le donne non devono dire che vogliono scopare?”).
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Un cult movie che non si vedeva da anni, che in Italia non è mai davvero arrivato, troppo lungo, troppo femminista, troppo sesso e nudità. E poi si parla di aborti… La sala Debussy era totalmente piena e in estasi, aveva salutato calorosamente Thierry Frémaux e Françoise Lebrun. Quando uscì, nel 1973 a Cannes, dove vinse un Grand Prix speciale della giuria, Gilles Jacob, non ancora direttore, scrisse che era un film “merdique”, un “non-film, non filmato da un non-cineasta e interpretato da un non-attore”. Jean-Louis Bory su “Le nouvel Observateur” scrisse che era un film “misogino”.
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Beh, se ti fermi alla prima ora può sembrare, con Léaud, fisso al bar che flirta con tutte, che giura amore eterno, che promette di sposare questa e quest’altra, che non ha tempo per lavorare, ma poi i ruoli si capovolgono completamente e i due personaggi femminili, soprattutto Veronika, prendono il sopravvento e la situazione si ribalta svelando qualcosa che nel 1973, in un post-68 di restaurazione borghese dopo una rivoluzione non vinta, mentre Bertolucci girava “Ultimo tango”, non era affatto ovvio riguardo allo sguardo femminile e alla critica dello sguardo maschile sulle donne, riguardo all’aborto, all’amore a tre, alla libertà sessuale, ai movimenti femministi.
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E’ anzi un grande ritratto delle relazioni fra uomini e donne nella prima metà degli anni ’70, profondo e amaro, comico e commovente. Ma quando mai vedete queste scene a tre a letto, questi dialoghi sul desiderio femminile… Olivier Assayas rimette a posto le cose definendo "La maman et la putain” come “il film che era stato teorizzato dalla Nouvelle Vague”. Oggi è qualcosa di estremamente realistico che riguarda la generazione che ha vissuto il post ’68 e i movimenti femministi in maniera disordinata, ma si ritrova perfettamente nei personaggi.
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