Estratto dell’articolo di Anna Gandolfi per www.corriere.it
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[…] È entrata nella testa e nelle case degli italiani (non solo) intonando Mon petit garçon, tormentone del 2002, seguito a ruota da Bonjour bonjour […] da anni non si avvicinava a un microfono. Salita verticale e caduta, sipario giù, anoressia […]un tentato suicidio […] infine il recupero. Lento. Un coccio alla volta. «Musica per me significa ricordi bellissimi, ma anche dolore enorme. Mi hanno domandato spesso se con i bambini cantassi ninne nanne e cose del genere. Risposta: no. In verità cantavo di nascosto».
[…] Sta per tornare a cantare in pubblico?
«Ho appena inciso un pezzo nello studio di registrazione di Milano dove è nato il disco del 2002. Siamo ancora al lavoro. Andrà come andrà, potrà avere successo o no. Sono solo contenta di avere recuperato una cosa che amo. […]».
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Sono passati vent’anni da quando Yu Yu — all’anagrafe Giuditta Guizzetti, classe 1976, madre parigina e padre bergamasco — macinava successi tra pezzi in francese riempipista, concerti e ospitate in televisione. Poi la fortuna è girata, i brani non ingranavano più, «e la gente intorno spariva. Ero una farfalla diventata bruco». […] assistente di volo trasformata in reginetta pop, capitana di classifica diventata cameriera per pagare l’affitto. La malattia, messa in un diario nel 2008. Il silenzio. E il reset.
«Mi sono trasferita a Ibiza nel 2009: non parlare del passato era una difesa. Nel primo periodo ho scelto una casa nel nulla». Di acqua sotto i ponti ne è passata. Lei risponde al telefono dall’isola e sorride: «Un'intervista? Ma sì, adesso ho tante cose da raccontare».
Cominciamo dalla fine. Qual è la sua vita oggi?
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«Lavoro nel turismo. Gestisco una villa che viene affittata per conto del proprietario e seguo l’ospitalità: […] Fino a prima del Covid con il mio compagno, Piermario, per tutti Pier, avevo un ristorante. Col senno di poi, meglio averlo ceduto: la concorrenza è spietata, la difficoltà a trovare personale enorme nell’ultimo periodo».
[…]
Per Yu Yu il successo è arrivato di botto.
«Tanto che anche quando andavo in televisione a cantare continuavo a lavorare sugli aerei».
La vita numero uno di Giuditta Guizzetti.
«Nel 2001, quando ho inciso Mon petit garçon, ero hostess per la Gandalf, vettore basato a Bergamo, dove vivevo. I passeggeri mi guardavano sbalorditi: lei è la cantante che ieri era in tv? Scrivevano alla compagnia, si chiedevano come fosse possibile che l’assistente di volo fosse anche una cantante. I capi mi hanno fatto capire che se volevo stare nello spettacolo era meglio che scegliessi quello e basta».
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[…] Da Pino Daniele si arriva a Mon petit garçon. Giro tortuoso.
«Percorso bizzarro ma vero. Il brano è stato scelto per lo spot della Lancia Y con Eva Herzigova che, bellissima, si vestiva da uomo. Un successo inatteso, esplosivo».
[…] «Dopo Mon petit garçon è arrivata Bonjour bonjour, altro successone. Yu Yu era ovunque. L’etichetta Emi ha investito tantissimo in un brano (Relax) che, paragonato ai primi, non ha sfondato. Il mercato non mi ha accolto».
Ed è stata mollata.
«Anche “colpa” mia, tra virgolette. Nel 2005 iniziavo a non stare bene: dimagrivo, non esprimevo positività».
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Cosa era successo?
«Un po’ alla volta gli amici sedicenti erano spariti. Di colpo non valevo più. Passavo il tempo a non mangiare senza farmi vedere da altri. “Io ci sono anche se sto sparendo”. Era un grido disperato, ho impiegato anni per rendermene conto».
Intanto ha cercato un altro lavoro.
«L’affitto bisognava pagarlo: facevo la cameriera al Daragi, un locale di Bergamo. Mi riconoscevano: come mai sei qui? Il commento dopo: come è dimagrita. Sono arrivata a 36 chili. Ho toccato il fondo quando ho tentato il suicidio».
Ci può raccontare quei momenti?
«Alla finestra vedo due amici e li saluto. Poi decido che non ho più voglia di rivedere nessuno. Prendo tutto ciò che ho in casa per dormire, bevo alcolici. La mattina dopo non mi sveglio. Mia madre, Marie, ha avuto un presentimento: non rispondevo al telefono ed è corsa da me. Sono arrivati i pompieri per tirarmi fuori».
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Quindi, i pompieri e l’ospedale.
«Ho capito che dovevo accettare l’aiuto di chi me lo offriva. Sono entrata nel Centro per i disturbi alimentari di Todi, in Umbria: l’indicazione era di Maurizio Costanzo».
Costanzo? Eravate amici?
«Quando ero famosa mi aveva invitato nel suo salotto tv. C’è stato un periodo in cui mi invitava anche tre volte a settimana. Ci siamo affezionati. Lui c’è stato anche quando è calato il sipario: ha intuito subito che iniziavo a non stare bene. Il tentato suicidio è stato uno choc anche per me. Con Maurizio ci scrivevamo, è stato cruciale per la mia accettazione dell’anoressia: mi ha presentato la dottoressa Laura Dalla Ragione, che ringrazio ogni santo giorno».
Quanto è stata ricoverata a Todi?
«Quattro mesi. Mi hanno rieducato, come un neonato. Il cibo non era nemico. Passavo molto tempo al tavolo, ero lenta nel mangiare, ma le attività erano tante: sono impazzita per lavoro a maglia. Piccole gioie ritrovate».
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In quei quattro mesi ha scritto un libro.
«È stato proprio Costanzo a incoraggiarmi. “Il cucchiaio è una culla” (ed. Aliberti) è un diario della battaglia con l’anoressia iniziato due ore dopo l’ingresso a Todi e finito appena sono uscita. Mi ripetevo: o impazzisco o trovo qualcosa per andare avanti. La scrittura è stata un’ancora».
Con la pubblicazione tutti hanno ricominciato a cercare Yu Yu.
«Anno 2008. Improvvisamente i miei telefoni suonavano ancora, mi invitavano da tutte le parti. Stavo ricadendo nella dinamica di Yu Yu. Un altro caro amico che purtroppo non c’è più mi ha aiutata, Elio Fiorucci. “Vai a trovare questo mio conoscente a Ibiza, vive nella natura, ti farà bene”. Un viaggio di cinque giorni, poi rientrata a Bergamo ho deciso: torno. Ho caricato la macchina, preso le mie cose e mi sono trasferita».
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Poi ha aperto un ristorante.
«Chi soffre di anoressia ama la cucina, è un paradosso ed è comune. È stata un’avventura imprenditoriale con il mio compagno».
Altra vita di Giuditta Giuzzetti.
«Adesso sto bene anche se esiste una vocina malefica che ogni tanto si fa sentire. Quando mi voglio difendere il primo scatto è non mangiare. Se sono stressata, arrabbiata. Però so leggere ciò che accade e scateno la tigre: no, in quella condizione non ritorni. A volte è facile, a volte meno. Dovrò conviverci, credo, per sempre. Ma ho due bambini e tiro dritto anche per loro».
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