Gianluca Paolucci per "La Stampa"
Zhou Xiaochuan governatore della people s bank of china banca centrale cinese
Tre svalutazioni consecutive in tre giorni per lo yuan e i mercati questa volta, non più sorpresi, si placano. Forse tranquillizzati dalle dichiarazioni della Banca centrale cinese, che in una rara conferenza stampa ha spiegato che «non c' è alcun motivo per un deprezzamento prolungato» dello yuan e ribadendo che le decisioni degli ultimi giorni sono solo aggiustamenti verso il livello di mercato. Rigettando l' ipotesi di una svalutazione al fine di rilanciare l' export e dicendosi anche pronta ad intervenire per evitare «distorsioni eccessive».
Numerosi trader hanno poi segnalato l' intervento diretto sul mercato della banca centrale, che avrebbe venduto massicciamente dollari nella serata di mercoledì. Se vorrà dare corso alle sue rassicurazioni, Pechino non avrebbe problemi a farlo: la Banca cinese del popolo detiene una delle principali riserve in valuta estera del mondo, pari a oltre 3 mila miliardi di dollari. «L' idea che il nostro obiettivo sia una svalutazione del 10% per stimolare il nostro export è assolutamente assurda, sono congetture senza senso», ha sottolineato il vice-governatore Yi Gang.
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L' ultimo aggiustamento, pari all' 1%, segue il 2% di martedì e l' 1,6% di mercoledì e gli analisti stimano che, lasciando lo yuan maggiormente libero di fluttuare, in un arco un orizzonte di medio periodo è plausibile che si arrivi, seppur gradualmente, proprio a quel -10% sul dollaro che Yi Gang ha smentito come obiettivo. Secondo la Banca centrale le decisioni degli ultimi giorni colmano il divario tra il livello ufficiale e il valore reale di mercato.
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«Questo divario era dell' ordine del 3%» e considerando la flessione del renminbi da martedì, «l' aggiustamento è ormai praticamente terminato». Le rassicurazioni della Banca centrale e gli interventi diretti sul mercato hanno comunque sortito l' effetto sperato di placare i timori dei mercati. Se da un lato infatti uno yuan più debole facilita le esportazioni, dall' altro incoraggia le fughe di capitali - già viste con vigore sui mercati azionari in luglio -, rende più costose le importazioni e fa lievitare il peso del debito in dollari delle aziende cinesi.
Il rimbalzo delle Borse ha visto primeggiare Milano, che ha chiuso in rialzo dell' 1,56%, con Parigi che ha chiuso a +1,25% mentre Londra, che alla vigilia aveva tenuto meglio delle altre piazze europee, chiude pressoché invariata. Restano deboli però i titoli delle materie prime, che pagano comunque il rallentamento dell' economia cinese.
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L' attenzione si sposta adesso sulla Fed. Il rialzo dei tassi Usa, che sembrava poter essere realizzato già nella riunione di settembre, rischia di slittare a fine anno o addirittura all' inizio del 2016. Che la situazione della Cina non sia comunque da sottovalutare è chiaro anche alla Bce.
I verbali del consiglio di luglio - ben prima delle svalutazioni dunque, ma in concomitanza con il crollo della Borsa cinese - segnalano che gli sviluppi della situazione finanziaria in Cina «potrebbero avere un impatto negativo maggiore del previsto, dato il suo ruolo importante nel commercio globale», con rischi che «potrebbero essere esacerbati da effetti negativi di un rialzo dei tassi negli Usa sulla crescita dei Paesi emergenti».
borsa di Pechino