Christian Marchetti per “il Messaggero”
STEVE THOMPSON
Steve Thompson, quarantadue anni, è un ex rugbista. Uno di quelli che ha visto l' inferno vero fatto prima linea in mischia, forte dei suoi 188 cm per 118 kg. Ruolo: tallonatore. Steve Thompson è un pezzo di storia del rugby inglese. Per lui settantatré presenze e anche il tour con i British & Irish Lions 2005 e quello storico titolo mondiale del 2003. Beh, a quanto pare, Steve Thompson di quel trionfo iridato, della finale vinta contro l' Australia ai supplementari grazie al leggendario drop di Jonny Wilkinson, ricorda lo zero assoluto.
Gli è stata diagnosticata una forma di demenza precoce con probabile encefalopatia traumatica cronica (Cte) ed è solo uno dei settanta giocatori che hanno intenzione di intentare causa contro World Rugby (la Fifa ovale), la federugby inglese e quella gallese poiché secondo loro incapaci di fronteggiare i rischi legati alle commozioni cerebrali. Nonostante l' esistenza, tra l' altro, di un protocollo che impone ai giocatori sei giorni di stop prima di tornare in campo dopo un colpo del genere.
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Thompson, che tra l' altro ha annunciato il ritiro nel 2011 dopo un grave infortunio al collo, oltre alla finale di Sydney a volte non ricorderebbe nemmeno il nome della moglie e ha già detto che non vorrebbe un futuro da rugbista per suo figlio, «almeno per come lo sport è adesso». Assieme a Steve, alla causa si aggiungeranno altri ex giocatori, tra i quali l' All Black numero mille della storia Carl Hayman (pilone), che hanno meno di quarantacinque anni e ricevuto la stessa diagnosi.
Ora chiedono un risarcimento per le cure che dovranno sostenere e hanno persino ideato quindici comandamenti per allenamenti e partite in sicurezza, chiedendo l' utilizzo della tecnologia del Dti per monitorare costantemente la salute degli atleti: una sorta di risonanza magnetica con una scansione ancora più sofisticata. «Perché diavolo non ricevi scansioni cerebrali ogni anno? - ha detto Thompson al Guardian - Probabilmente vedrai ritirarsi ragazzi di vent' anni, ma credetemi: è meglio finire lì che ritrovarsi come me».
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Nel frattempo gli esperti dicono che l' unica causa della Cte è da riscontrare proprio dai colpi alla testa. Impossibile tuttavia una diagnosi esatta, giacché la Cte viene rivelata soltanto in seguito a dissezione cerebrale (inutile aggiungere) post mortem. «Nelle immagini della premiazione, ci vedete alzare al cielo la Coppa del Mondo, io stesso posso vedermi lì che salto dalla gioia. Ma non riesco a ricordarlo. Vorrei solo avere una vita normale». Ossia senza i vuoti di memoria, gli attacchi di panico e gli sbalzi d' umore.
E socievole come un tempo. L' avvocato Richard Boardman che segue gli ex atleti parla di una sorta di punta dell' iceberg, prevedendo che alla lista si aggiungeranno altri giocatori del passato tra i quaranta e i cinquant' anni. E di essere in contatto con cento di loro.
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Se nell' ottobre dello scorso anno il New England Journal of medicine aveva parlato di maggiori rischi di mortalità causati da malattie neurodegenerative e il rischio di demenza per i calciatori pro', circostanza che aveva addirittura spinto la federcalcio scozzese a vietare i colpi di testa per gli Under 12, le conseguenze del caso Thompson & Co.potrebbero scuotere tante discipline e tra queste proprio il calcio.
World Rugby non commenta, ma tramite un portavoce ha assicurato di prendere «molto sul serio la sicurezza dei giocatori. Implementiamo strategie di prevenzione, gestione ed educazione degli infortuni basate sulle ultime conoscenze, ricerche e prove disponibili». Trasformeranno il rugby in una specie di babau? Nulla di nuovo sotto il sole, per chi mastica anche di altre discipline di contatto.
O per chi, sempre nel mondo ovale, ancora solleva dubbi per esempio circa le morti premature tra gli Springboks campioni del mondo 95. Recentemente, il pilone inglese Kyle Sinkler aveva detto di non ricordare nulla della finale del Mondiale 2019 perché colpito alla testa. Però gioca ancora e sabato ha disputato la finale di Autumn Nations Cup.
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