Alessandro Rico per "la Verità"
Peter Boghossian, filosofo americano, è un epigono della maieutica socratica. Qualche anno fu coinvolto nello scandalo degli «studi sulle lamentele»: insieme ad altri due autori, James A. Lindsay ed Helen Pluckrose, tentò di far pubblicare, sotto pseudonimo, 20 paper di teoria postcoloniale, teoria queer, gender e femminismo.
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Saggi pieni di fesserie, ma scritti con la serietà di Michela Murgia quando usa lo «schwa». Tra i 7 articoli che superarono le revisioni, c'era quello, divenuto famoso, sul Pene concettuale come costrutto sociale.
Pochi giorni fa, Boghossian si è dimesso dall'Università di Portland, dove insegnava, in polemica con il clima oppressivo che si respira nell'ateneo - e in moltissime università americane.
Professore
«Mi chiami "fratello"».
Va bene.
«Sa che mia nonna era di Predappio, il paese di Benito Mussolini?».
Le piace dire cose pericolose Allora lei è un po' italiano.
«Al 50%: ho fatto un test genetico».
Fantastico: felice per la vittoria agli Europei?(Alza le braccia in cenno di esultanza) «Assolutamente. Woooooh!».
A scanso di equivoci: lei non è un conservatore, no?
«No».
Ed è ateo?
«Sì».
Non è di destra.
«Per niente».
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Su Twitter, si è lamentato del fatto che nessun media di sinistra l'abbia voluta intervistare, a proposito delle sue dimissioni dalla Portland State University. Nel frattempo, l'ha contattata qualcuno?
«No. Mi hanno chiamato Glenn Beck e Tucker Carlson, che sono conservatori Ma a me piacerebbe tenere una conversazione su ciò che è successo».
Immaginiamo.
«Il presidente della Portland State University ha detto che la "giustizia razziale" è la sua "principale priorità". Visto che si tratta di un'università pubblica, finanziata da chi paga le tasse, in un periodo di crisi di bilancio, mi piacerebbe tenere una conversazione, specie con chi è di sinistra, a proposito di questo. Dovrebbe essere quella la priorità di un'istituzione pubblica?».
Dovrebbe?
«No. È una fottuta follia».
Nella bellissima lettera con cui ha spiegato i motivi delle sue dimissioni, ha scritto che l'università è diventata «una fabbrica di giustizia sociale i cui soli input sono razza, genere e vittimismo e i cui soli prodotti sono lamentele e divisione». Come si è arrivati a questo?
«Non so come funzioni nella mia madrepatria - l'Italia - ma qui negli Usa, tutti quelli che formano i docenti sono dei woke».
Quelli fissati con razzismo, discriminazioni sessuali
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«Ecco. E poi chiunque osi mettere in dubbio certe teorie diventa all'improvviso un razzista. Reo di una "microaggressione"».
C'entra la politica delle identità, che vede la società come un coacervo di minoranze oppresse, che dovrebbero vendicarsi per le ingiustizie subite?
«Non vogliono solo vendicarsi. Vogliono abbattere il sistema. Ecco perché buttano giù le statue».
Peggio mi sento.
«Se non ti piacciono certe statue, c'è un processo democratico che puoi intraprendere per farle sostituire. Il resto sono atti di teppismo. E chi li compie è un teppista».
E la politica delle identità?
«Non è una caratteristica della sinistra tradizionale. È una caratteristica dei woke. Ha parassitato i valori della sinistra tradizionale».
Cos' è allora la sinistra woke?
«I comunisti volevano livellare i privilegi economici. I woke vogliono livellare tutto».
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Basta la democrazia per rimuovere la storia? La sua madrepatria celebra il centenario di Dante. Qualcuno pensa fosse un «islamofobo». Ma se anziché una banda di teppisti, ci fosse una maggioranza politica a decidere di rimuoverlo dai programmi scolastici, sarebbe comunque giusto difenderlo, no?
«È per questo che da noi esiste la Costituzione. Ci devono essere dei valori di fondo. Al loro interno, le persone possono scegliere di vivere come vogliono. In America c'era un programma tv, Judge Judy, in cui la protagonista diceva una cosa profondamente vera».
Cioè?
«"Non farti giustizia da solo; rivolgiti a un tribunale". Non possiamo avere bande di persone infuriate con la società, che si comportano da teppisti. Se non ti stanno bene le cose, candidati. Donald Trump, a cui il sistema non piaceva, l'ha fatto. E ha pure vinto».
Le università che lei critica formeranno le future élite del Paese. Cosa aspettarsi da loro?
«Esattamente quello che vediamo già ora. Le persone che sono state addestrate ad attaccare i valori occidentali all'università porteranno tutti quei nonsense - "trigger warning", "migroaggressioni", "spazio di sicurezza" - anche nelle imprese, sul lavoro, nello Stato».
Invitava in aula i terrapiattisti?
«Anche».
james lindsat, helen puckrose e peter boghossian
Ha scritto che «grazie a quelle conversazioni confuse e difficili», vedeva gli studenti «mettere in questione le convinzioni rispettando chi le avanzava, rimanere calmi in circostanze complicate e, addirittura, cambiare idea».
«Confermo».
Significa che dobbiamo ascoltare anche chi ha dubbi sulle misure anti Covid e sui vaccini?
«Dipende dal contesto. Io ho tenuto un corso di "scienza e pseudoscienza". Volevo ospiti che sfidassero la visione tradizionale. Se non consenti critiche, spingi la gente a sposare le teorie del complotto».
Dice?
«Agli studenti vanno dati gli strumenti per mettere in questione le convinzioni. Non si mandando a quel paese gli altri. Si scavano a fondo le loro idee. Alla fine, ci guadagnano tutti».
È il metodo socratico.
«Che ormai viene rifiutato, perché i vertici degli atenei si preoccupano solo degli studenti che si lamentano: "Non mi sento al sicuro". Ma perché cacchio studi filosofia se ti senti "insicuro"? All'università non vai per sentirti sicuro, per essere confermato nelle tue convinzioni. Allora, fatti prete. Vai in una madrasa. Vai in Afghanistan!».
Lei ha subito diversi tentativi di sabotaggio da parte degli studenti. Quale l'ha colpita di più?
portland
«Non mi hanno infastidito particolarmente. Quello che mi ha infastidito è stata l'accusa di picchiare mia moglie e mio figlio».
È emersa durante un'indagine interna sui suoi corsi. Cosa c'entrava con i suoi metodi d'insegnamento?
«Nulla. Se pensi che qualcuno picchi sua moglie e i suoi figli, chiami la polizia. Non vai al Comitato per la diversità».
Uno studente che non condivideva i suoi metodi ha potuto trascinarla in quella sorta di processo. Allora, qualsiasi professore può essere intimidito e silenziato, no?
«Proprio così».
trump milley
Persino i suoi colleghi, alle sue spalle, sconsigliavano ai ragazzi di seguire i suoi corsi. Professori che si comportano possono pretendere di educare i giovani?
«Loro considerano l'università come un luogo d'indottrinamento. Pensano di possedere la verità ed esigono che gli studenti gliela ripetano tale e quale. Perciò facevo il paragone con le religioni: siamo dinanzi a una sorta di religione secolare. Costoro fanno catechismo».
Appunto.
«E così, chi, come me, pone delle domande, non è solo uno che sbaglia. È una cattiva persona. I cattivi mettono in dubbio l'idea che il razzismo sia ovunque. Se chiedi: "Che prove avete che il razzismo sia ovunque?", hai commesso una "microaggressione". O li stai facendo sentire "non al sicuro"».
Bisogna dedurne che la democrazia liberale è in pericolo?
«Sì».
Trump in Alabama
Ha paura che qualcuno possa fargliela pagare per le sue idee?
«Certo. Gli Antifa. A casa ho delle armi. Per 53 anni non ne ho avute, adesso la casa ne è fottutamente piena. Sto in mezzo al nulla proprio per questo motivo, ma ho delle armi nel caso in cui qualcuno venga a prendermi a casa».
Addirittura?
«Certo. Vuol vedere?».
Perché no.(Si allontana, poi torna e mostra una Glock 9 millimetri).
Incredibile.
«Per fortuna ero con il mio istruttore di ju jitsu, ma sono stato minacciato in un bar, quattro-cinque volte per strada, mi hanno tirato una bottiglia, mi hanno pure sputato addosso».
Stando ai suoi insegnamenti, è stato un errore bannare Trump dai social?
«Domanda difficile. Facebook e Twitter sono società private, possono fare quello che vogliono».
Hanno responsabilità sociali?
«Non saprei risponderle. So che dovrebbero essere coerenti nell'applicare i loro termini di servizio. A me pare che bannino le persone per motivi ideologici».
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Il portavoce dei talebani, ad esempio, ha un account.
«Appunto: non sono coerenti».
Dalla vicenda del «pene concettuale», possiamo dedurre che gli studi su argomenti come gender, femminismo, o cambiamento climatico, hanno scarso o nullo valore scientifico?
«Possiamo dedurre che il golden standard della conoscenza non è più tale. Dovremmo poterci fidare del fatto che un articolo, pubblicato su una rivista con revisione paritaria, sia basato sulle prove più solide che gli studiosi tentano di falsificare. Ma non è così. Spesso è basato sulla sola volontà di propagandare una convinzione morale».
pistola
All'epoca degli «studi sulle lamentele», l'università la punì per «cattiva condotta nella ricerca».
«Anziché prendersela con me e dirmi che non ero etico, i ricercatori avrebbero dovuto spiegare perché avevano pubblicato dei paper pazzoidi».
Le università italiane non sono ancora arrivate a certi livelli di conformismo e intolleranza ideologica. La china, però, è quella. Come evitiamo la deriva totale?
«Il difficile è che questa ideologia è un solvente universale: corrompe e distrugge tutto ciò con cui viene a contatto. Dunque, vi direi: non lasciatela penetrare».
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E se ormai è penetrata?
«Fate la voce grossa, evitate che metastatizzi. Ma se è già penetrata... È troppo tardi».