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    "LA DONNA IN PAKISTAN ESISTE SOLO IN QUANTO MADRE, MOGLIE, FIGLIA" - AHMAD EJAZ, GIORNALISTA E MEDIATORE CULTURALE PAKISTANO, VIVE IN ITALIA DA TRENT'ANNI E SPIEGA CHE I CASI COME QUELLO DI SAMAN ABBAS SONO TANTI: "LE SECONDE GENERAZIONI SI RIBELLANO PERCHÉ SI COSTRUISCONO UN'IDENTITÀ CULTURALE CENTRATA SULL'INDIVIDUO E NON SUL GRUPPO. E VENGONO PUNITE DALLA FAMIGLIA, ANCHE CON LA MORTE - IL FEMMINISMO DEVE OCCUPARSI PURE DI DONNE IMMIGRATE: SONO TRE MILIONI..."


     
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    Elisa Calessi per “Libero Quotidiano

     

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    «La donna, in Pakistan, esiste solo in quanto madre, moglie, figlia. Non esiste in quanto donna». Non ha diritti, né può scegliere il proprio destino lavorativo o affettivo. Così come «non c'è la cultura dell'individuo». Sostituita da quella del «gruppo, della famiglia, dell'onore».

     

    Ahmad Ejaz, giornalista e mediatore interculturale, nato in Pakistan, vive in Italia da trent'anni. E da trent'anni si batte per l'integrazione. Eppure non fa sconti su quanto accaduto a Saman Abbas, la ragazza pakistana probabilmente uccisa dallo zio perché non voleva sposare il cugino che le era stato assegnato. Un caso che, per Ahmad, non è nuovo. «In questi anni mi sono occupato di centinaia di vicende simili. Tante sono morte».

     

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    Cosa pensa del matrimonio combinato?

    «Se è forzato, è una pratica che non rispetta i diritti umani e nemmeno la Costituzione italiana. E va combattuta. È un gravissimo errore non fare nulla, pensare che sia una diversità culturale da rispettare».

     

    Molti italiani sono timidi nel condannarla perché temono di passare per razzisti.

    «Io ho fondato una associazione che si chiama "Le nuove diversità". Le differenze fanno arricchire. Anche la lingua italiana sarebbe incompleta senza l'apporto dell'arabo. Ma dobbiamo sempre condannare, noi immigrati per primi, le pratiche che non rispettano i diritti umani e la Costituzione: la poligamia, l'infibulazione, i matrimoni combinati forzati. Pratiche crudeli e sbagliate. Molte volte le persone che le praticano non sanno nemmeno che è un reato in Italia».

     

    Come non lo sanno? Ma per avere un permesso di soggiorno non si è obbligati a conoscere almeno le leggi italiane?

    «Quando ottieni il permesso di soggiorno, ti viene data una carta in cui sono scritte le leggi, i diritti che valgono in Italia, ma spesso un immigrato non sa nemmeno l'italiano... È vero che quando uno fa la carta di soggiorno deve fare un esame di lingua italiana, ma non basta. Le comunità spesso si chiudono in se stesse, si auto-ghettizzano e fanno subentrare la cultura del Paese di origine».

     

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    Le seconde generazioni, però, si ribellano. Perché?

    «Perché vanno nelle scuole italiane e quindi si costruiscono una identità culturale individuale che i loro genitori non hanno».

     

    Perché dice "individuale"?

    «L'identità culturale pakistana è centrata sul gruppo, non sull'individuo. Quando un bengalese viene in Italia e apre un negozio, poi chiama la mamma e le chiede di trovargli una moglie. Torna in patria, si sposa e ritorna in Italia. Anche quello che guadagna lo manda in Bangladesh e la mamma lo divide tra i dieci fratelli. È un'identità di gruppo. Si pensa e si vive in gruppo per tutta la vita. Questo è il fulcro del matrimonio combinato».

     

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    Quindi non è un comando del Corano?

    «No, non è legato alla religione. È una tradizione del Pakistan».

     

    Però ai figli non sta bene.

    «Perché la seconda generazione impara l'importanza dell'individuo. Non accetta che il gruppo scelga al suo posto».

     

    La vicenda di Saman è un caso isolato o diffuso?

    «Sono tantissimi i casi come questo. E diventeranno ancora di più, perché ogni anno i pakistani fanno 7mila figli, se poi aggiungi indiani e bengalesi siamo a mezzo milione. Tante ragazze ci chiedono aiuto».

     

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    Cercano aiuto, ma non sempre lo trovano. Saman si era rivolta ai servizi sociali. Cosa non ha funzionato?

    «È molto difficile per una ragazza lasciare la famiglia perché, una volta entrate nei centri antiviolenza, sentono la nostalgia di casa. Io credo vada messa in discussione la formazione degli assistenti sociali, degli psicologi, che devono saper aiutare queste ragazze, una volta che si rivolgono a loro».

     

    A volte c'è timidezza a intervenire, in nome del relativismo culturale.

    «Se una cultura non rispetta i diritti umani, bisogna intervenire. Saman e tantissime ragazze morte come lei sognavano di diventare italiane. Il fidanzato, peraltro, non era italiano, ma pakistano. Eppure non bastava alla famiglia. Perché doveva sposarsi un cugino».

     

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    Nella cultura pakistana che idea c'è della donna?

    «In Pakistan la donna ha tre ruoli: moglie, figlia, madre. Non esiste in quanto donna. Piano piano le ragazze stanno cercando di acquisire i diritti che esistono qui, ma c'è un lungo cammino da fare».

     

    Una donna può decidere di se stessa?

    «Il concetto di autodeterminazione è visto malissimo. Il padre lavora, la madre guarda i figli, la sorella più grande deve fare le veci della madre, e il fratello più grande quelle del padre. La famiglia è molto gerarchica».

     

    La donna in Pakistan è libera?

    «No, non c'è la libertà della donna. Anche nelle eredità, maschi e femmine non sono uguali. Se il padre muore, il fratello prende il 75% dell'eredità. Il resto va alle sorelle, non importa quante sono».

     

    Come si può aiutarle?

    SAMAN ABBAS SAMAN ABBAS

    «Ci vogliono progetti mirati. Quando si parla di immigrato, si pensa subito a un maschio, giovane. Invece il 52% sono donne».

     

    Di fronte al rifiuto di Saman, lo zio l'ha uccisa. E i genitori non si sono ribellati. C'è anche un problema culturale di violenza?

    «È il frutto della cultura del villaggio, che non è la cultura del Pakistan o dell'Islam. Queste persone hanno ucciso Saman perché per loro l'onore della famiglia veniva prima. Non la considerano violenza, ma rispetto dell'onore. A uccidere le nostre ragazze sono sempre padri, fratelli e cognati, mentre nei femminicidi italiani sono mariti, ex mariti e amanti».

     

    Perché?

    «Perché per voi è più importante la coppia, quindi interviene la gelosia. Mentre nel nostro caso conta la famiglia, l'onore».

     

    DANISH HASNAIN ZIO DI SAMAN ABBAS DANISH HASNAIN ZIO DI SAMAN ABBAS

    Cosa si può fare?

    «Ci vuole un grande lavoro. Le moschee devono diventare moschee vere e non associazioni culturali. E poi fare integrazione vera. Oggi la società italiana è multiculturale, ma non è interculturale».

     

    Sono gli italiani a ghettizzare gli immigrati o sono gli immigrati che si autoghettizzano?

    «Entrambe le cose. La società italiana punta a ghettizzare e le comunità non si fidano degli italiani».

     

    Cosa ne pensa del silenzio di tante femministe italiane su Saman?

    «Il femminismo deve portare con sé anche le donne immigrate: sono tre milioni. Vengono da culture diverse, hanno subìto il patriarcato, ma sono nuove cittadine. E vanno integrate».

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