Giacomo Amadori per “la Verità”
I risultati delle elezioni per il nuovo Consiglio direttivo centrale (Cdc) dell'Associazione nazionale magistrati, il parlamentino del sindacato dei giudici, mandano un bel segnale ai vertici della magistratura italiana. La maggioranza delle toghe non è influenzabile dalle campagne di stampa e non basta controllare i principali quotidiani per capovolgere i rapporti di forza dentro alle correnti. E se Luca Palamara, dopo essere stato radiato dalla magistratura, avrà da qui in poi molto tempo libero, potrebbe proporre qualche pomeriggio ai giardinetti a un altro umarell uscito con le ossa rotte dalle elezioni, quel Piercamillo Davigo prepensionato suo malgrado dal Consiglio superiore della magistratura.
luca palamara
Nel 2016 le elezioni del Cdc dell'Anm avevano sancito il trionfo di Palamara, che aveva trascinato la sua corrente, Unicost, a un trionfo elettorale con pochi precedenti: 13 seggi e 2522 voti di lista su 7272 totali. Distaccata di ben 700 voti c'era la lista dei magistrati progressisti di Area, storici alleati della Unicost palamariana.
Nel 2016 nella maggioranza che governa l'associazione inizialmente entrano tutte le correnti. Dopo pochi mesi, però, esce dalla giunta Autonomia & indipendenza, il gruppo fondato da Davigo. Infine, quando scoppia il caso Palamara e vengono pubblicate sui quotidiani le conversazioni della riunione dell'hotel Champagne, a cui prende parte anche Cosimo Ferri, parlamentare del Pd e big della corrente conservatrice di Magistratura indipendente, le toghe moderate finiscono all'opposizione.
Unicost tenta un'operazione di maquillage proponendosi ai suoi elettori come corrente depalamarizzata. Area cavalca lo scandalo presentandosi come l'unico gruppo in grado di contrapporsi alle logiche spartitorie dei Palamara e dei Ferri. A&i sembra la più attrezzata a manovrare la ghigliottina, anche perché Davigo guida il processo a Palamara e porta fuori dal guado dello scandalo, a colpi di distinguo e cavilli, gli altri consiglieri del Csm finiti nelle chat del magistrato radiato, in primis il vicepresidente David Ermini. Tutto ciò non è, però, bastato a evitargli il pensionamento, deciso lunedì dal parlamentino dei giudici.
piercamillo davigo
Le elezioni concluse ieri dimostrano che le strategie da pentapartito di chi aveva banchettato con le spoglie di Palamara non hanno pagato. Area, la nuova Unicost e A&I, ovvero l'insieme delle forze che più hanno sostenuto l'operazione di esclusione dalla stanza dei bottoni delle toghe anche solo sospettate di intelligenza con l'asse Palamara-Ferri, hanno preso una sonora batosta. I loro seggi, sommati, sono scesi da 28 a 22 (per avere la maggioranza in consiglio ne bastano comunque 19) e i voti addirittura da 5629 a 3746 (su 6045).
Area ha guadagnato due posti nel Cdc (il più votato è stato il presidente uscente dell'Anm Luca Poniz - 739 preferenze-), ma ha perso una cinquantina di voti rispetto al 2016 e addirittura 486 se confrontati con il 2012. Insomma lo zoccolo duro delle toghe di sinistra piano piano si sta erodendo. Resta loro la speranza di andare a pescare nel bacino di Unicost, che dopo il caso Palamara, è stata la più penalizzata: ha perso oltre il 50 per cento dell'elettorato ed è scesa a 7 seggi (Alessandra Maddalena, con 412 preferenze, la più votata). Vedere il segretario generale Francesco Cananzi, l'uomo che spediva i pizzini con le preferenze per le nomine in Campania, presentarsi come il nuovo che avanza non ha portato risultati.
sebastiano ardita al csm con di matteo e davigo
Ma la vera débâcle è stato quella di A&i: le sue preferenze sono passate da 1271 (nel 2016 la lista venne trascinata da Davigo) a 749 (quasi la metà -363 voti- sono stati raccolti dall'ex consigliere del Csm Aldo Morgigni). Pietro Nenni diceva: «A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura». L'adagio è stato confermato dalle toghe del movimento Articolocentouno, una lista fuori dalle correnti che sostiene il sorteggio dei consiglieri del Csm e la rotazione dei dirigenti di tribunali e procure.
Nel 2012 avevano conquistato un seggio, oggi ben 4. Due saranno occupati da Andrea Reale, giudice a Ragusa (296 preferenze) e Giuliano Castiglia (222), gip a Palermo, da un anno i grilli parlanti della magistratura con i loro commenti sulle mailing list e i loro articoli sul blog Uguale per tutti, con cui hanno denunciato l'ipocrisia di tanti colleghi che pensavano che il sacrificio di Palamara fosse sufficiente a voltare pagina. Reale ieri ha commentato: «Si è finalmente sentita la voce degli indipendenti. È un buon risultato, ma c'è ancora tanta strada da fare sul piano culturale e associativo».
racanelli
Altra sorpresa di queste elezioni è l'inaspettato exploit di Magistratura indipendente, che sembrava essere stata rasa al suolo dalle intercettazioni dello Champagne, che portarono alle dimissioni del presidente dell'Anm Pasquale Grasso, del segretario Antonello Racanelli e dei consiglieri del Csm Antonio Lepre e Corrado Cartoni. Mi ha portato i propri seggi da 8 a 10 (il primo della lista è Salvatore Casciaro, con 415 voti), ma al contrario di Area ha visto crescere anche le preferenze.
È chiaro che la magistratura sta andando verso un bipolarismo destra-sinistra, eliminando dal campo la vecchia Balena bianca di Unicost. L'elettorato centrista, di fronte alla prospettiva di fare da predellino ad Area, ha preferito cambiare schieramento o non votare. Con questo trend di smottamento a sinistra, alle prossime elezioni del Csm, Unicost rischia di far eleggere a Palazzo dei marescialli solo due giudici di merito e neanche un pubblico ministero. Resta da capire che cosa resterà di A&i.
Antonio Lepre
L'impressione di molti e che, con il pensionamento di Davigo, si scioglierà in fretta e che Sebastiano Ardita, ex delfino di Ferri, potrebbe guidare, in questo nuovo scenario bipolare, il ritorno a casa dei fuoriusciti di Mi. Anche perché Ardita, pm catanese, si dice sia stato scaricato da Davigo, nonostante abbia votato contro il suo pensionamento. Davanti agli inquirenti di Perugia l'ex campione di Mani pulite avrebbe dichiarato che i rapporti tra Ardita e l'ex pm Stefano Fava, autore di un esposto contro l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, lo avevano fatto arrabbiare. Un'ammissione che potrebbe essere sufficiente a segnare una frattura definitiva tra i due.