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    LA GUERRA DEI MARIO –TRA MONTI E DRAGHI VA AVANTI DA ANNI UNA RIVALITA', CONDITA DA UNA SINCERA ANTIPATIA, CHE I DUE NON PERDONO OCCASIONE DI ALIMENTARE – IL SENATORE A VITA È UN LOMBARDO, LIBERISTA, SOSTENITORE DELL’ASSE FRANCO-TEDESCO. IL PREMIER È UN ROMANO, KEYNESIANO ATIPICO CHE AMA GLI USA – I MALIGNI SOSTENGONO CHE ALLA BASE DELL'ASTIO CI SIANO LE ECCESSIVE AMBIZIONI DI MONTI…


     
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    Sebastiano Venier per www.tag43.it

     

    MARIO DRAGHI MARIO MONTI MARIO DRAGHI MARIO MONTI

    M versus M. Ovvero Mario Monti contro Mario Draghi. Un caso di vera e propria antipatia. Anzi, di ostilità, che non perde occasione di manifestarsi. Un’avversione che qualcuno riconduce alle eccessive ambizioni del senatore a vita, che è anche presidente dell’Università Bocconi. Certamente poi ci sono evidenti differenze culturali e politiche.

     

    Monti è un lombardo, liberista, sostenitore in Europa dell’asse franco-tedesco. Draghi un romano, keynesiano atipico che ama gli Usa dove si è appena recato a ricevere dalle mani di Henry Kissinger il premio statista dell’anno.

     

    Quella laurea ad honorem dalla Cattolica

    MARIO DRAGHI E MARIO MONTI MARIO DRAGHI E MARIO MONTI

    Parlando dei due nemici l’economista Giulio Sapelli li ha dipinti così: «Monti non ha mai avuto una visione strategica e ha sempre disprezzato le parti sociali. Draghi appena messo piede a Palazzo Chigi al contrario ne ha subito fatto un interlocutore. Ha capacità politiche di lungo corso e ha mediato tutta la vita perché in fondo è un vero democristiano». Le occasioni di scontro, se pur indiretto, non sono mancate.

     

    Per esempio, quando ha lasciato la presidenza della Banca centrale europea, Draghi ha ricevuto una laurea ad honorem dall’Università Cattolica mentre tutti si aspettavano un’iniziativa simile partisse dalla Bocconi. La diversità di vedute tra i due economisti prestati alla politica sono alimentate dall’istruzione ricevuta.

     

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    Draghi ha studiato a Roma nel rigoroso liceo Massimiliano Massimo. È una scuola gestita dai gesuiti che gli ha trasmesso non solo la cultura della qualità ma anche un messaggio morale. I principi della pedagogia gesuitica si basano su due fondamenti: la cultura ci aiuta a comportarci con onestà, e ci aiuta a essere obbedienti nei confronti della fede.

     

    La chiamata al Tesoro da parte di Guido Carli

    In seguito l’attuale se pur ancora per poco premier ha proseguito la sua formazione alla Facoltà di Economia de La Sapienza di Roma. In quegli anni, dominava la filosofia economica di Federico Caffè, uno tra i più influenti e noti studiosi italiani. Sarà proprio lui a fare da relatore alla tesi di Draghi dal titolo “Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio“. Questo studio gli permetterà di conseguire la lode accademica e diventare assistente personale di Caffè.

     

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    Dopo aver conseguito la laurea nel 1970, il trasferimento negli Stati Uniti con l’obiettivo di conseguire un dottorato presso il Mit. Qui l’incontro con altri due economisti che hanno rivestito un ruolo chiave nella sua istruzione: Franco Modigliani e Robert Solow, entrambi premio Nobel per l’economia. Una volta ottenuto il master oltreoceano, la decisione di tornare in Italia per intraprendere la carriera accademica.

     

    Docente universitario della Facoltà di Economia e Scienze Politiche di diverse università italiane, nel 1991 fu chiamato da Guido Carli, ministro del Tesoro nei governi Andreotti VI e VII, a fare il direttore generale del dicastero, su suggerimento del governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi. Una full immersion nella politica che risulterà determinante nella sua carriera, oltretutto nell’epoca delle nascenti privatizzazioni delle più importanti banche e aziende pubbliche.

     

    Formazione e riferimenti culturali diversi

    mario draghi mario monti mario draghi mario monti

    Al contrario Monti, dopo la laurea in economia alla Bocconi, ha proseguito gli studi alla Yale University. Nel 1985, dopo un’iniziale esperienza alla facoltà di Sociologia di Trento (anni 69-70) e successivamente all’università di Torino, è stato chiamato come professore di economia politica alla Bocconi.

     

    GUIDO CARLI GUIDO CARLI

    Ed è qui che è cominciata la sua vera corsa verso il potere. Spinto da quelli che all’epoca si chiamavano poteri forti (Gianni Agnelli lo volle nel consiglio di amministrazione della Fiat) è diventato editorialista del Corriere della Sera e anima del Forum Ambrosetti di Cernobbio, un think tank che negli anni ha messo insieme capi di stato ministri, grandi imprenditori, manager, politici e grand commis con l’obiettivo di indirizzare opinioni pensieri e studi sui processi economici e geopolitici dell’Italia.

     

    Il numero uno della Bocconi è stato poi presidente del Consiglio dei ministri dal novembre 2011 fino all’aprile 2013 (dopo aver prima preteso e ottenuto dall’allora presidente Giorgio Napolitano di essere nominato senatore a vita). Conservando inizialmente l’incarico anche di ministro dell’Economia e delle finanze, lasciato successivamente a Vittorio Grilli.

     

    L’assenza di Draghi dal Forum di Cernobbio

    MARIO DRAGHI E MARIO MONTI MARIO DRAGHI E MARIO MONTI

    Insomma, due figure di primo piano. Lo strano è che in questi anni Monti ha continuato a muove critiche a Draghi prima per le scelte da capo della Bce, poi per suo operato da premier. La più dura quando ha sostenuto che la rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale è stato il risultato soprattutto della «destabilizzante ambizione» di Draghi che voleva andare lui al Colle. Un’accusa che ha lasciato stupiti in molti, ma non coloro che conoscevano bene le aspirazioni del presidente della Bocconi.

     

    Non c’è quindi da stupirsi se per la seconda volta da quando è premier Draghi abbia rifiutato l’invito al Forum Ambrosetti. Diventando l’unico caso di premier in carica che negli ultimi anni ha evitato di intervenire alla “Davos di casa nostra”. Persino Giuseppe Conte, capo del primo esecutivo sovranista, nel settembre del 2018 accettò di presenziare al salotto buono di Cernobbio.

     

    L’università Bocconi feudo di Mario Monti

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    I maligni sostengono poi che le ambizioni di Monti rischiano di avere conseguenze anche sul futuro della Bocconi. Da oltre 30 anni, il senatore regna incontrastato a dispetto della conclamata governance che dovrebbe essere il mantra dell’ateneo milanese. Nelle scorse settimane, per esempio, ha nominato nuovo rettore un altro suo protetto, Francesco Billari. Senza metterne in dubbio i meriti e la capacità professionali, il neo rettore non è molto conosciuto in ambito internazionale.

     

    Classe 1970, ha iniziato il suo percorso di studi proprio in Bocconi dove si è laureato in Economia politica nel 1994. In seguito, ha conseguito un dottorato di ricerca a Padova ed è stato leader di un gruppo di ricerca al Max Planck institute for Demographic research di Rostock e direttore del dipartimento di Sociologia a Oxford. La scelta risulta in continuità con quella del predecessore Gianmario Verona, altro docente legato a Monti e recordman per numero di mandati. È l’unico che ne ha fatto tre (sei anni in tutto) nell’arco della blasonata storia bocconiana.

     

    Draghi, Merkel e Monti Draghi, Merkel e Monti

    La nomina di Billari ha destato perplessità, sapendo che un rettore è il biglietto da visita che attesta il prestigio di un ateneo. Più è apprezzato a livello internazionale, più dà lustro all’università che lo nomina. Chi difende la scelta di Monti sostiene invece che la critica nasca dall’entourage di Francesco Giavazzi, professore della Bocconi, che ha tentato più volte di diventare rettore ma è sempre stato bloccato da Monti vista la vicinanza proprio con Draghi, di cui guarda caso è stato nei 516 giorni del suo governo il più importante consigliere economico.

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