netflix and chill
Gianmaria Tammaro per www.esquire.com/it
Fino a qualche mese fa, scrive Variety, tutti i contenuti più popolari – Friends, i film Disney, quelli Marvel – erano caricati su un’unica piattaforma, cioè Netflix. Con il prossimo arrivo di Disney+ e di Hbo Max, però, le cose stanno per cambiare. E il pubblico, se vorrà continuare a vedere gli stessi titoli, dovrà abbonarsi a più servizi.
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È questo, insomma, il problema: a parità d’offerta, bisogna spendere più soldi. Certo, ogni piattaforma ha il suo piano e il suo archivio, e ognuna di esse ha i suoi obiettivi. Ma anche con un banalissimo calcolo – l’abbonamento di Netflix, quello di Apple tv+, quello di Disney+, quello, ora, di Hbo Max – appare evidente che i costi, per lo spettatore medio, sono quantomeno raddoppiati. E parliamo di abbonamenti mensili, non annuali (in questo, forse, Amazon Prime Video ha mostrato ancora una volta la sua lungimiranza).
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Quindi chi è, alla fine, che ci rimette? Nel breve e più immediato periodo, è il pubblico: costi più alti, offerta di contenuti maggiore ma, allo stesso tempo, troppo specifica e radicata nella singola realtà (le cose di Hbo solo su Hbo Max; le cose Disney solo su Disney+). A lungo andare, però, anche le piattaforme ne risentiranno. Il caso di Netflix, che per la prima volta nella sua storia ha perso abbonati negli Stati Uniti, il mercato dov’è più forte e attiva, ne è un esempio. In parte, è l’effetto dell’ennesimo aumento dei prezzi; e in parte, anche, il depotenziamento dell’archivio (la scomparsa di quei titoli che citavano all’inizio).
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L’industria si sta assestando, e il pubblico – che resta sempre lo stesso, con le stesse risorse, e con gli stessi interessi – si sta ridistribuendo. In questa corsa all’ultimo abbonato, contano due cose. Prima di tutto, ovviamente, i contenuti. E in questo senso la Disney, che ha già pronte diverse serie e ne ha annunciate altre, sembra a buon punto. Poi la tecnologia. E mentre i contenuti sono importanti per attirare abbonati e catturare la loro attenzione, la tecnologia è fondamentale per convincerli a rimanere: se una serie, o un film, si vedono male, o se ci sono problemi con l’interfaccia tecnologica, molto difficilmente un abbonato rinnoverà il suo contratto.
NETFLIX AUMENTA IL PREZZO DEGLI ABBONAMENTI
L’effetto più immediato di questa proliferazione di piattaforme streaming potrebbe essere il ritorno alla pirateria. Ma anche, suggerisce Variety, il ritorno delle pay tv: anziché scegliere cosa guardare, dove abbonarsi, a chi “credere”, gli spettatori potrebbero decidere – per pigrizia, certo, ma anche per semplificare – di tornare a una programmazione lineare, più chiara e immediata, dove a spesa precisa corrisponde servizio preciso. È un controsenso, è vero; ma potrebbe essere il sintomo più evidente di un problema più grande. E cioè: l’effettiva incapacità di un sistema di darsi delle regole e una forma, di trovare un equilibrio e, soprattutto, un punto di contatto con il pubblico.
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Il futuro potrebbe essere rappresentato da un’unica interfaccia, dove vengono raccolti più servizi e viene proposto al cliente un unico costo (è quello che sta facendo Sky, con Sky Q, in Nord Europa e, prossimamente, anche qui in Italia). Oppure si potrebbe tornare alla singola transizione: abbandonare il modello delle SVOD, cioè dell’on demand per sottoscrizione, e tornare al TVOD, lo stesso modello che avevano – e hanno ancora – Google Play e iTunes, e che in Italia è stato rilanciato da Chili. In breve: paghi solo quello che vuoi vedere.
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Prima di arrivare a questo futuro, però, la situazione – e lo scrive anche Variety – potrebbe essere totalmente diversa. Il mercato non ha ancora affrontato, e vinto, la sua crisi più dura. Tutte queste piattaforme devono ancora arrivare e avere un impatto effettivo sul pubblico e sull’industria. Bisognerà aspettare. Probabilmente qualche anno. Probabilmente meno. Intanto, però, a rimetterci saranno gli spettatori – e, di contro, la parte creativa: attori, registi, scrittori. Se le piattaforme non rientreranno dei costi sostenuti, dovranno abbattere la produzione. E abbattendo le produzioni, diminuiranno i lavori. Diminuendo i lavori, e le produzioni, diminuiranno anche gli elementi d’attrattiva per l’audience. E via così, in una spirale discendente.
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