Matteo Pucciarelli per la Repubblica
SESTO SAN GIOVANNI
Quando nel 1983 vi si formò la prima comunità musulmana proveniente dall’Algeria, Sesto era ancora quella dell’immaginario collettivo, chiamata non a caso la “Stalingrado d’Italia”: una città fieramente operaia e comunista (ci furono le elezioni quell’anno: il Pci prese il 41 per cento; su 90mila abitanti, 40mila erano tute blu) dove però cominciava ad aleggiare la parola “ristrutturazione”, cioè l’annuncio non capito appieno della fine di un’epoca, ben prima della caduta del Muro.
anis amri
Oggi in un’area ex industriale sta per sorgere una grande moschea di 2.400 metri quadrati e con 4mila posti che ospiterà anche un ristorante, una caffetteria, una biblioteca. Il progetto prevede la costruzione di una specie di torretta a forma di ciminiera, «per rimandare alla storia di questo posto», dice il presidente della comunità musulmana, Boubaker Gueddouda. La bonifica sui terreni finanziata dai fedeli stessi è appena terminata. La riconversione, eccola qui.
I musulmani a Sesto sono circa 1.500, ma quelli che frequentano il centro islamico sono 400. E alla domanda ovvia, scontata — «ma cosa ci faceva Anis Amri proprio qui?» — ognuno risponde tirando acqua al proprio mulino. La sindaca pd, Monica Chittò: «Non lo sappiamo ma Anis ha girato mezza Europa tranquillo e lo hanno preso solo a Sesto, quindi vuol dire che la nostra sicurezza funziona». Ancora Gueddouda: «Noi non lo conoscevamo, e comunque quando ci accorgiamo che qualcuno di sospetto si aggira dalle nostre parti, avvertiamo le forze dell’ordine. Un nostro compito è isolare i terroristi o presunti tali ».
IL CAMION GUIDATO DA ANIS AMRI NEL MERCATO DI BERLINO
Il segretario della Lega Lombarda, Paolo Grimoldi: «Siamo di fronte all’ennesima conferma che la nostra regione è l’epicentro dell’attività jihadista in Italia». La pasionaria di Forza Italia, Silvia Sardone: «Io so solo che quella comunità è vicina ai Fratelli musulmani». Il consigliere comunale di Rifondazione (che qui è in maggioranza), Giacomo Feltrin: «Probabile che stesse partendo per il sud, alla stazione c’è una specie di hub dei pullman diretti o nell’est Europa oppure nel meridione». Tra le tante ipotesi in campo, c’è anche quella che in realtà Anis fosse in contatto oppure cercasse agganci con qualche vecchia conoscenza del carcere: Sesto è al centro di una fitta rete di spaccio gestita dai tunisini.
IL CADAVERE DI ANIS AMRI
In mezzo alle domande senza risposte certe, ci sono i sestesi stessi — tantissimi di adozione: l’immigrazione dal sud fu massiccia dal Dopoguerra in poi — che vivono la grande depressione della dismissione lenta e inesorabile con una sempre maggiore insofferenza verso quella comunità che invece cresce; fatta di famiglie giovani e gente che lavora, apre negozi (pizzerie, parrucchieri, mini-market) e insomma, ha ancora qualcosa da conquistare: «Una piena cittadinanza e integrazione.
IL CADAVERE DI ANIS AMRI
Questa moschea è un passo in avanti importante», spiega il direttore del centro islamico, Abdullah Tchina. Poco più di un mese fa sui muri del Comune apparve una scritta cubitale: «Basta arabi», con annesso insulto alla sindaca. Racconta Davide, un commerciante della zona: «Sesto non si è “arabizzata” dall’oggi al domani, è quindici anni che si sta degradando costantemente. Il valore degli immobili è crollato, alcune zone sono completamente abbandonate a se stesse. Come sempre tacciare di xenofobia chi si lamenta è più comodo, invece che andare ad analizzare la realtà dei fatti».
Numeri alla mano però la cosiddetta “invasione” è più che altro un fenomeno percettivo: gli stranieri sono il 17 per cento della popolazione, in linea con la provincia di Milano. E dopo gli egiziani, i più numerosi sono gli europeissimi rumeni. «Però i non italiani si notano di più — ragiona il segretario generale della Fiom lombarda, Mirco Rota — perché le piccolissime attività sono in mano a loro e andrebbero ringraziati perché tengono vive alcune zone ».
Il punto, continua, «è che Sesto ha perso la sua anima, la sua identità; finita l’industria la città non ha più avuto un indirizzo preciso». Gli operai di una volta sono andati in pensione o sperano di andarci presto, non si produce praticamente più nulla e i pochi posti in fabbrica passano per le agenzie interinali: ovvero precari, aggrappati ad un presente che sfugge di mano.
SESTO SAN GIOVANNI