Mario Gerevini per corriere.it
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È messo nero su bianco in un documento ufficiale bianconero: la Juventus potrebbe non avere la capacità «di mantenere il presupposto della continuità aziendale». E se arrivassero sanzioni o condanne a esponenti aziendali ci potrebbero essere «impatti negativi, anche significativi, sulla situazione economica… del gruppo».
Fa effetto, soprattutto ripensando alle recenti manovre per la creazione di un’elite del calcio: dalla Superlega al rischio di nessuna Lega.
Però bisogna fare la tara: sono tutte affermazioni vere (messe al condizionale), indotte anche dall’inchiesta penale torinese ma portate alle estreme ipotetiche conseguenze. In quale contesto sono state scritte? E perché? La Juve è una società quotata in Borsa e ha in corso un aumento di capitale da 400 milioni.
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Tipica situazione da croce e delizia. Croce perché deve raccontare tutto al mercato, anche formulando le ipotesi più estreme. Delizia perché è proprio dal mercato che si appresta a raccogliere denaro. Pochi giorni prima che la ricapitalizzazione partisse (29 novembre, terminerà il 16 dicembre quando si concentreranno le eventuali sottoscrizioni) il club ha pubblicato il documento informativo, approvato dalla Consob. Lì dentro non c’è spazio per ambiguità e omissioni: esiste il reato specifico di falso in prospetto. Il vertice del club guidato da Andrea Agnelli ha messo in fila le promesse sull’utilizzo del denaro, bilanci aggiornati e l’elenco dei rischi («stressandoli» come da prassi) che un investitore potrebbe correre acquistando le nuove azioni.
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Solo che nel frattempo l’indagine della Procura di Torino sulle plusvalenze sospette e con ipotesi di reato (false comunicazioni sociali delle società quotate) direttamente impattanti sul profilo patrimoniale e gestionale del club, ha alzato il livello dei rischi. Con un duplice, micidiale, effetto collaterale. Il primo: far crollare il titolo (-17% in sette giorni a 0,403 euro) rendendo meno appetibile l’aumento di capitale (a 0,334 euro). Il secondo costringere il club a un addendum sui rischi che non è certo una medaglia per la reputazione.
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Così venerdì sera poco prima di mezzanotte, passando dalle mani della dirigente societaria Elisabetta Cravero e dei legali dello studio Pedersoli, è stato licenziato il supplemento al prospetto. «Sussiste il rischio — si legge in un passaggio molto importante, a proposito dell’indagine della Procura — che i Garanti ritengano che i suddetti fatti configurino i presupposti per l’esercizio del diritto di recesso dall’impegno di garanzia dell’aumento di capitale».
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Secondo la società bianconera, a termini di contratto, non è un «mutamento negativo rilevante» che consenta il recesso. Ma il rischio c’è.
In parole povere, potrebbero sfilarsi Goldman Sachs, Jp Morgan, Mediobanca e Unicredit che si sono impegnate a sottoscrivere le azioni della Juventus eventualmente invendute (i Garanti, appunto).
Resta naturalmente la sicurezza di Exor che «copre» la sua quota del 64%. Se però arrivassero solo 255 dei 400 milioni non ci sarebbero risorse sufficienti per sostenere il Piano di sviluppo al 2024 e dunque «la capacità del gruppo di mantenere il presupposto della continuità aziendale nell’arco del Piano verrebbe meno».
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Che cosa ci vuole fare la Juve con i proventi dell’aumento di capitale? In parte intende rimborsare prestiti bancari e di società di factoring così riducendo il carico degli oneri finanziari. Poi indirizzerà risorse per finanziare le attività «previste per il mantenimento della competitività sportiva e l’incremento della visibilità del brand Juventus». Sotto questo profilo, ovvero quello della destinazione delle risorse provenienti dall’aumento, nulla è cambiato, ovviamente. Anzi, dalla controllante Exor sono già stati bonificati fin dal 27 agosto scorso 75 milioni in conto aumento capitale, quindi a essere precisi ad oggi l’operazione è di 320-330 milioni.
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I rischi, insomma, al momento appaiono più legati alle conseguenze delle indagini penali che non alla contingente, eventuale, carenza di risorse finanziarie.
Exor non è certo una holding senza mezzi: la Juve potrebbe avere meno «benzina», nuovi manager ma di sicuro non rischia di rimanere in panne. E comunque il prezzo in Borsa rende ancora appetibile l’aumento. Poi è davvero difficile immaginare le quattro banche chiudere il paracadute a John Elkann che è a capo di un gruppo da 30 miliardi di euro con un utile nel primo semestre 2021 di 838 milioni. Intanto, però, il titolo della Juventus è ai minimi dall’estate 2017.
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