1. SPATARO, LETTERA D' ADDIO PER IL FIGLIO «FIERO DI COME FACEVI L' AVVOCATO»
Giuseppe Guastella per il Corriere della Sera
andrea spataro
La giustizia è una sola, sia che la si imbocchi dalla strada dell' avvocatura sia che la si prenda da quella della magistratura, e sui due piatti contrapposti della sua bilancia il peso dell' accusa e quello della difesa devono restare in perfetto equilibrio e avere pari dignità in una democrazia che voglia essere davvero tale. A un mese dalla morte di Andrea, che era avvocato penalista, il padre Armando, che è il Procuratore della Repubblica di Torino, per ringraziarli con la moglie della vicinanza alla famiglia nei «momento di inimmaginabile dolore» scrive ai colleghi del figlio una lettera struggente e composta in cui questo concetto si legge in controluce.
Armando Spataro e il figlio Andrea, scomparso il 9 settembre a 36 anni dopo una lunga e devastante malattia, non si sarebbero mai potuti incontrare nelle aule di giustizia milanesi perché il magistrato, quando ancora lavorava a Milano, per opportunità si dedicava a materie su cui il figlio non lavorava. La giustizia è sempre stata una passione di famiglia. Prima di entrare in magistratura per seguire terrorismo interno, mafia e terrorismo internazionale e impegnarsi nell' associazionismo fino a far parte del Csm, Armando è stato per un breve tempo avvocato penalista. Il figlio, invece, ha deciso subito di dedicarsi alla difesa.
Forse anche per questo, Armando Spataro ha criticato i colleghi che non gli sembravano abbastanza rispettosi verso gli avvocati. Quando si insediò alla guida della Procura di Torino, disse che un «cruccio» che si portava da Milano era di non essere stato in grado di convincere alcuni pm, spesso tra i più giovani, a non affiggere, come mai avevano fatto gli anziani, sulla porta dell' ufficio gli orari di ricevimento riservati agli avvocati, come se fossero normali utenti della giustizia: «L' avvocato è coprotagonista della giustizia e, di fronte al giudice, è collocato sullo stesso piano del pubblico ministero».
andrea spataro
«Spero ora di non apparire inopportuno nel tentativo di "far parlare Andrea": tanti sono i genitori che soffrono per simili tragedie e non tutti hanno questa possibilità e forse lo stesso mio figlio, dotato di una grande sobrietà, potrebbe non essere d' accordo», premette Spataro nella lettera prima di andare al nocciolo: oltre al ricordo di un figlio, vuole affidare «quello di un figlio-avvocato» che si allenava alla battaglia, e non solo contro il tumore.
«Andrea amava lottare con libertà di pensiero, dignità e coerenza»; la lotta, scrive il padre, «come regola di vita, non in senso retorico, ma quella quotidiana e silente per i principi in cui si crede, per il bene, per la solidarietà, per la vita Ed eroe non è sempre e solo chi per tutto questo combatte e vince, ma anche chi combatte e perde».
Il suo unico figlio, assicura, non era un Don Chisciotte fuori dalla realtà. Lo hanno spiegato bene gli amici l' 11 settembre scorso quando, in un brano letto nella messa funebre, hanno ricordato che per lui «il Tribunale va vissuto, e la giustizia non è l' avventura di un giorno». Ed è forse anche per questo, come ha raccontato al padre un collega di lavoro, l' avvocato Salvatore Scuto, che «a volte rientrava da un' udienza o da un colloquio con un pubblico ministero infastidito, se non arrabbiato (in questo, e per fortuna, non era ancora un "disilluso" ed io credo che non lo sarebbe diventato mai), per aver visto svolgere il ruolo della controparte in un modo non coerente con la sua idea del processo e della tutela dei diritti».
La sua «visione della giustizia e la dignità con cui viveva la professione», conclude il magistrato, «mi rendevano e mi rendono orgoglioso di avere avuto un "figlio-avvocato"».
2. LA LETTERA INTEGRALE DI ARMANDO SPATARO AGLI AVVOCATI MILANESI
Carissimi Avvocati,
è trascorso un mese dall’ultima volta in cui ho visto mio figlio Andrea, giovane
avvocato penalista di 36 anni.
armando spataro
Ho già ringraziato molti di voi per la vicinanza manifestata in questi momenti di
immaginabile dolore, ma spero ora di non apparire inopportuno nel tentativo di “far
parlare Andrea”: sono tanti i genitori che soffrono per simili tragedie e non tutti
hanno questa possibilità… e forse lo stesso mio figlio, dotato di una grande sobrietà,
potrebbe non essere d’accordo.
Vi chiedo scusa, allora, se mi lascio guidare dal cuore: ho deciso di scrivervi
egualmente perché voglio affidarvi non solo il ricordo di un figlio, ma quello di un
figlio-avvocato. E ve lo trasmetto attraverso parole di un avvocato e di un giudice.
L’avv. Salvatore Scuto del foro di Milano, presso il cui studio mio figlio lavorava, ha
di lui scritto: “Andrea aveva sviluppato una bella idea della funzione difensiva,
moderna, senza retorica ma ferma nella convinzione dell'imprescindibile suo ruolo
nella dinamica processuale. A volte rientrava da un'udienza o da un colloquio con un
pubblico ministero infastidito, se non arrabbiato (in questo, e per fortuna, non era
ancora un 'disilluso' ed io credo che non lo sarebbe diventato mai), per aver visto
svolgere il ruolo della controparte in un modo non coerente con la sua idea del
processo e della tutela dei diritti. Andrea è andato avanti ed ha superato e vinto la
sua sfida con la forza delle sue idee e delle sue convinzioni, orgoglioso come era di
aula
essere avvocato.
Quella forza e quella dignità lo hanno sostenuto sino alla fine
facendo a gara con una riservatezza così ferrea da lasciare oggi, in chi gli ha vissuto
accanto nella vita lavorativa, ammirazione accompagnata però da una punta di
smarrimento. I tanti suoi amici del tifo juventino hanno trovato le parole giuste per
salutarlo nello stadio della sua Juventus quando gli hanno dedicato un striscione
esposto nell’ultimo derby torinese con la scritta <<Andrea nessuno muore nel cuore
di chi resta!>>. È' proprio così Andrea”.
Ed il giudice Bruno Giordano, che lo ha seguito anche in una significativa esperienza
accademica, così lo ha ricordato, descrivendo la sua incertezza nelle decisioni da
prendere per il futuro: “..gli chiedo se vuole "veramente" preparare il concorso per
magistrato. Lo trovo combattuto tra magistratura e avvocatura, che sceglie con il
coraggio e la forza di chi vuole farcela, bene e da solo. Un giorno dopo il
pensionamento del prof. Dominioni (con cui aveva collaborato) lo sento deluso, non
vuole perdere l'incipiente carriera accademica, ma mi sembra che Andrea si senta
finalmente libero di scegliere una sua strada.
armando spataro
Gli propongo di iniziare un dottorato di ricerca. Ci pensa due giorni chiedendomi di non parlarne con il padre. E infatti non l'ho mai fatto. Poi Andrea mi raggiunge in ufficio, dove con garbo e eleganza, ma con commozione, mi dice che vuole fare l'avvocato, andare in udienza, lottare,
lottare e lottare per affermare un diritto. Io mi arresi, Andrea ha lottato fino
all'ultimo.
Il 5 luglio 2014 avevo spedito ad Andrea una mail per raccontargli della bellissima cerimonia cui avevo assistito nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Torino, intitolata a Fulvio Croce, quella annualmente organizzata dal locale Consiglio dell’Ordine in onore degli Avvocati che hanno esercitato per 60 o 50 anni la professione forense. Avevo parlato ad Andrea di una cerimonia “solenne ed informale insieme, carica di giustificato orgoglio dei protagonisti”.
Gli avevo poi ricordato le coinvolgenti parole del Presidente avv. Mario Napoli e dell’avv.
Ottolenghi (“un passato anche da partigiano ed un presente pure da scrittore”),
citandogli infine quelle di Giampaolo Zancan: “In cinquant’anni ho difeso tutti, ma
non ho preso ordini da alcuno”, una frase che a mio figlio era piaciuta molto, che
esalta la libertà di pensiero e la coerenza che sono le doti morali più importanti per
chiunque operi nel campo della giustizia.
Così chiudevo quella mail ad Andrea: “Zancan è giustamente orgoglioso della sua
carriera, come io lo sono del fatto che tu sia un giovane avvocato!”
Andrea amava lottare, appunto, con libertà di pensiero, dignità e coerenza: non a caso
gli piaceva molto la bronzea statua equestre di Ferdinando di Savoia – Duca di
Genova, che domina il centro della Piazza Solferino di Torino: il cavallo ferito nella
battaglia di Novara del marzo 1849, combattuta contro gli invasori durante la prima
guerra di indipendenza, sta cadendo e morendo, ma chi lo cavalca continua a
combattere con la spada in pugno.
La lapide sotto la statua così descrive quella scena e ricorda Ferdinando “Ferito a morte il cavallo nella battaglia di Novara, seppe vendicare col valore l’ingiuria della fortuna”. Già, l’ “ingiuria della fortuna”.
Andrea era anche un accanito e conosciuto collezionista di statuette varie, soprattutto
aula processo
– ma non solo – dei Cavalieri dello Zodiaco, combattenti per il bene del cosmo e per
la pace sulla Terra.
La lotta...la lotta dunque come regola di vita, non in senso retorico, ma quella
quotidiana e silente per i principi in cui si crede, per il bene, per la solidarietà, per la
vita…Ed eroe non è sempre e solo chi per tutto questo combatte e vince, ma anche
chi combatte e perde.
L’11 settembre, cioè il giorno della S. Messa per Andrea, i suoi più cari amici gli
hanno dedicato due pagine di amore che uno di loro ha letto in un’affollata Basilica
milanese. Tra le altre, hanno ricordato queste sue belle parole da giovane avvocato
che si guarda intorno e vuole capire e conoscere, parole che ripeteva ai suoi amici e
colleghi: “il Tribunale va vissuto…e la giustizia non è l’avventura di un giorno !”
Erano questa sua visione della giustizia e la dignità con cui viveva la sua professione
che mi rendevano e mi rendono orgoglioso di avere avuto un “figlio-avvocato”.
Sono queste sue parole che mi consentono di avere sempre mio figlio accanto.
Voglio ringraziarvi ancora, con tutto il cuore ed insieme a mia moglie, per l’affetto
che ci avete manifestato in questi giorni di dolore, un affetto dedicato ad Andrea.
Armando Spataro