padre scrive lettera al figlio dal carcere
1. LA LETTERA DEL BOSS AL FIGLIO
Fabio Albanese per "la Stampa"
«Sono un fallimento, non sono il tuo mito». Le parole di un padre condannato per reati di mafia e in regime di 41 bis al figlio nemmeno quattordicenne, ma già nel suo quartiere temuto e rispettato «erede», nelle stanze del tribunale per i minorenni di Catania sono considerate un cambio di passo epocale.
Un boss, che si è macchiato di gravi reati e che non si è mai pentito, ha capito che il figlio maggiore stava per seguire le sue orme: non andava più a scuola, veniva portato in giro in auto da persone adulte, omaggiato solo per il nome che porta. «Pronto a entrare nelle piazze di spaccio da boss», dice il presidente del tribunale per i minorenni Roberto Di Bella.
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A lui, il boss che vuole salvare il figlio, ha detto: «Signor giudice, lo porti via da quel maledetto quartiere, via da Catania. Ho sbagliato e in carcere non posso nemmeno abbracciare i miei figli, lui non può fare la mia stessa fine». Quelle stesse cose le ha scritte al figlio: «Segui gli educatori, fai quello che ti dicono e sii rispettoso».
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Non se l’aspettava, il giudice Di Bella, quando mesi fa in videoconferenza ha sentito quell’uomo. Gli stava proponendo di aderire al progetto «Liberi di scegliere», che con l’associazione Libera e con le istituzioni ha varato qualche anno fa in Calabria, sua precedente sede di lavoro. Un progetto per togliere dagli ambienti criminali i «figli d’arte» e (ospiti in comunità) dar loro la possibilità di una vita lontana dall’illegalità.
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Ma quello che vedeva nel video era un «boss importante di un quartiere degradato della parte Sud di Catania, ad alta densità criminale»: «Mi aspettavo un’opposizione netta - racconta - invece ho trovato un uomo disperato, molto preoccupato per le sorti del figlio». Da giugno quel ragazzo vive lontano da Catania, seguito da educatori e psicologi.
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Un caso limite, certo, ma non il solo. «Stiamo intervenendo su una ventina di ragazzi e su due mamme. Pochi? Sono qui da un anno, a Reggio Calabria siamo riusciti a intervenire su 80 ragazzi e 25 donne, alcune diventate poi collaboratrici o testimoni di Giustizia».
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Il giudice Di Bella crede molto in questa battaglia, in una città che con il 22% vanta il triste primato della dispersione scolastica nella fascia 6-16 anni e il contemporaneo primato di criminalità minorile.
È una sua idea quella di togliere il reddito di cittadinanza alle famiglie dei malavitosi che non mandano a scuola i figli: «Questo ragazzo aveva già un atteggiamento mafioso, tutti i familiari in carcere. Ma noi interveniamo per tutelare, non certo per togliere i figli alle famiglie. Cerchiamo di evitare loro le sofferenze del carcere».
2. CARI PAPÀ
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera”
rapina farmacia torino 1
«Mio figlio ha fatto una cavolata, ma è un bravo ragazzo e noi siamo una famiglia perbene». Questa frase è ormai un piccolo classico e si indossa su quasi tutto: risse, truffe, minacce, molestie, atti di bullismo, scippi con destrezza, pirateria stradale. Solo che stavolta a pronunciarla è stato il padre di un adolescente torinese che ha rapinato una farmacia e accoltellato un carabiniere.
CARABINIERE ACCOLTELLATO A TORINO
Da oggi il concetto di «cavolata del bravo ragazzo di famiglia perbene» va dunque esteso alle rapine con accoltellamento, quantomeno. Per adesso rimangono ancora fuori l'aggressione a mano armata e la tentata strage con lancio di granate, ma c'è da scommettere che si troverà facilmente un padre disposto a coprire tale lacuna. «Figlio mio, rispetta tutte le indicazioni che ti danno in comunità e soprattutto non mi considerare un mito, ma un fallimento».
MAURIZIO SABBATINO - IL CARABINIERE ACCOLTELLATO A TORINO
Questa invece è una frase pressoché inedita e l'ha scritta un boss catanese dal carcere duro, in una lettera inviata al primogenito per esortarlo a non seguire le sue orme e a resistere al fascino delle scorciatoie criminali.
Può darsi che sia una trovata del suo avvocato e in ogni caso non mi permetterei mai di paragonare il padre del bravo ragazzo di una famiglia perbene a un famigerato capoclan, né tantomeno di ergere il secondo a modello del primo. Però, quando leggo certe notizie e le metto a confronto, mi ritrovo a dare ragione a Ennio Flaiano: «A volte mi vengono in mente pensieri che non condivido».
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