Fabrizio Caccia per il "Corriere della Sera"
No green pass a Milano
Facinorosi ma innocui. All'inizio sembravano così. Contro il green pass, il loro grande nemico, la prima volta chiamarono a raccolta gli iscritti, in pochi giorni più di 40 mila, per bloccare le stazioni ferroviarie in 54 città. Era il primo settembre scorso: da Milano Porta Garibaldi a Roma Tiburtina.
«Non ci fanno partire con il treno senza passaporto-schiavitù? Allora non partirà nessuno», fu questo lo slogan coniato da quelli di «Basta Dittatura!», il canale Telegram diventato in un battibaleno la voce dei no vax italiani.
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Però nelle stazioni non si presentò nessuno. C'erano solo giornalisti e poliziotti. Stessa musica pochi giorni dopo, il 6 settembre: «Tutti a Roma», presidio a Montecitorio. Non c'era un'anima. Loro giuravano di compiere solo «proteste pacifiche, apartitiche e spontanee».
Ma intanto online cresceva l'odio e così le Procure e gli uffici della Digos, a Roma, Milano, Torino, cominciarono a monitorare la galassia degli haters . Già ad agosto segnali preoccupanti. Una mostruosa shitstorm , al grido di «Li faremo fallire!», fu organizzata contro i ristoranti che chiedevano il green pass: una valanga di false recensioni negative travolse Google e Tripadvisor.
manifestanti no green pass a roma 3
E quasi in contemporanea, partì l'appello ad andare tutti in cerca degli indirizzi di casa dei politici, dei virologi e dei giornalisti invisi. Cercare, trovare e pubblicare. Obiettivo: «Andarli a presidiare» perché «devono capire chi comanda». Pubblicarono anche l'indirizzo della sede centrale della Cgil a Roma, dove il 9 ottobre, uno dei tanti sabati di protesta, ci fu poi l'assalto dei fascisti di Forza Nuova.
Il primo a trovarsi in Rete l'indirizzo di casa fu il governatore del Piemonte, Alberto Cirio: «Andiamo a prenderlo!». Poi fu la volta del numero di ufficio della pm torinese che indagava. E infine ecco il ristorante preferito in Umbria da Mario Draghi, con l'itinerario preciso per raggiungerlo e «impiccarlo».
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Squadristi digitali e squadristi di piazza. Quattro indagati dalla Procura di Roma, altri 18 da quella di Torino, sparsi in 15 città, da Torino a Palermo, da Cremona a Brescia. Ma il canale originario, chiuso da Telegram a settembre, è rinato quasi subito sotto forma di clone: «Basta Dittatura-Proteste». Nelle perquisizioni a casa degli indagati a novembre sono stati trovati coltelli, baionette, perfino una balestra Sniper da cecchino.
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Difficile stabilire la matrice politica: verso i no vax così militarizzati hanno guardato da subito con interesse («Questi sanno menare...») i capi di Forza Nuova, Roberto Fiore e Giuliano Castellino. Ma anche la ex brigatista rossa Barbara Balzerani ha tuonato su Facebook contro il super green pass introdotto da Draghi: «Non sento gli ululati degli antifascisti difensori della Costituzione. Qual è l'articolo della messa al bando di milioni di persone senza uno straccio di reato?».
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Chi c'è dietro? Chiederlo a loro, agli amministratori del canale, che s' identificavano con Anonymous Poll , è stato impossibile prima che «Basta Dittatura!» venisse chiuso. Ogni richiesta d'intervista è stata sempre ignorata. Il rapporto con la stampa, poi, tutto fuorché sereno: «Giornalista terrorista», il coro più diffuso nelle piazze di questi mesi.
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