Stefano Vergine per http://espresso.repubblica.it/
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L’acquisto dell’Opl 245, uno dei più grandi giacimenti petroliferi dell’intera Africa? «È stato illegale fin dall’inizio. I proprietari della Malabu, la società che l’ha venduto a Eni e Shell, erano i familiari dell’ex presidente Sani Abacha, l’allora ministro del Petrolio Dan Etete, e l’ex ambasciatore nigeriano negli Stati Uniti, Hassan Adamu. Di questo i manager di Eni e Shell erano consapevoli. E noi abbiamo le prove per dimostrarlo».
Ibrahim Magu, 54 anni, è il presidente della Economics and Financial Crimes Commission (Efcc), l’Anticorruzione nigeriana. Scelto direttamente dal presidente Muhammadu Buhari, l’uomo eletto due anni fa alla guida del più popoloso Stato africano con la promessa di combattere con ogni mezzo la corruzione, Magu è un poliziotto arrivato a comandare la più importante agenzia investigativa del Paese, una sorta di Procura nazionale contro la corruzione. Lo abbiamo incontrato martedì 21 marzo a Londra, in Inghilterra, dove è stato invitato a una conferenza organizzata dalle ong Global Witness, Re:Common e Transparency International.
paolo scaroni and denis sassou nguesso eni
Un evento dal titolo inequivocabile: “Give us our money back”, ovvero “dateci indietro i nostri soldi”. I quattrini in questione sono quelli pagati nel 2011 dall’italiana Eni e dall’anglo-olandese Shell per acquistare l’Opl 245, un giacimento situato al largo delle coste nigeriane e diventato famoso per aver attirato l’attenzione dei magistrati di ben cinque nazioni: Olanda, Stati Uniti, Regno Unito, Italia e - appunto - Nigeria.
L’ipotesi investigativa è che per l’acquisto di quel giacimento sia stata pagata una delle più ricche tangenti della storia. Di più: quasi l’intero ammontare versato da Eni e Shell per quel tesoro, pari a 1,1 miliardi di dollari, sarebbe in realtà stata una mazzetta. Già, perché quei soldi dovevano finire nelle casse della Nigeria.
Descalzi Scaroni
Sarebbero stati sufficienti, a titolo d’esempio, per soddisfare l’80 per cento del bilancio locale per la sanità (dati ufficiali del 2015). Oppure a creare lavoro per i tanti cittadini che ogni anno sono costretti a emigrare per la fame o per le minacce di Boko Haram (la maggior parte dei richiedenti asilo in Italia arriva proprio dalla Nigeria). Invece nelle casse di Abuja alla fine sono arrivati solo 210 milioni di dollari.
Gli altri? Spariti. Rubati, secondo le ipotesi degli inquirenti, da politici locali e misteriosi faccendieri. La Commissione guidata da Magu accusa l’ex ministro delle Giustizia locale, Mohammed Adoke, l’allora ministro del Petrolio, Etete, e il mediatore Aliyu Abubakar di aver incassato circa 800 milioni di dollari. E indaga per corruzione - prima volta nella storia della Nigeria - anche le due multinazionali. Che oltre all’eventuale condanna dei propri manager già sotto inchiesta in Italia, fra cui l’ex amministratore delegato Paolo Scaroni e l’attuale numero uno dell’Eni Claudio Descalzi, rischiano anche di perdere parecchi soldi.
Paolo Scaroni
Signor Magu, a gennaio su vostra richiesta l’Alta Corte Federale nigeriana aveva revocato la licenza del giacimento a Eni e Shell. Lo scorso 17 marzo, per alcune irregolarità formali, il giudice John Tsoho ha però restituito l’Opl 245 alle due compagnie. Come valuta questa decisione?
«È la risposta della corruzione alla nostra azione, è la prova che in Nigeria ci sono persone che vogliono mantenere le cose come stanno. C’è ovviamente delusione da parte nostra per questa decisione della Corte, ma questo ci spinge a raddoppiare i nostri sforzi. Una squadra di legali sta già studiando il caso. La nostra intenzione è di fare appello immediatamente. Il governo continuerà a utilizzare ogni mezzo legale per proteggere le risorse nazionali e restituirle ai nigeriani».
Il vostro obiettivo quindi è di espropriare Eni e Shell per poi rifare una gara pubblica? Per le compagnie sarebbe un colpo pesantissimo visto che l’Opl, secondo alcune stime industriali, potrebbe contenere oltre 9 miliardi di barili di petrolio.
DAN ETETE
«Il primo obiettivo è questo, perché nella vendita dell’Opl 245, fin dall’inizio, c’è stata corruzione, abuso di potere e conflitto d’interessi. Sono alcune delle accuse che abbiamo depositato lo scorso 2 marzo presso l’Alta Corte Federale di Abuja nei confronti di Eni e Shell».
Quali sono gli altri vostri obiettivi? Volete fare in modo che le due multinazionali restituiscano alla Nigeria i soldi andati alla Malabu?
«Certamente. E oltre a questo chiederemo che le compagnie vengano sanzionate».
Che tipo di sanzione chiederete?
«Ovviamente la decisione spetta al giudice, ma noi chiederemo una multa di almeno 2 miliardi di dollari».
C’è il rischio, in caso di condanna, che le due società in futuro non possano più operare in Nigeria, che fino all’anno scorso era il primo Paese produttore di petrolio in Africa?
claudio descalzi
«A questo non posso rispondere, dipenderà unicamente dal giudice».
L’Eni ha sempre sostenuto di aver pagato il governo nigeriano su un conto corrente vincolato, aperto presso la filiale londinese della JP Morgan Chase. La società ha ripetuto più volte di non sapere che quei soldi sarebbero poi andati alla Malabu. Perché lei è convinto del contrario?
«Perché quello non è stato il primo tentativo. All’inizio Eni cercò di pagare Dan Etete sul conto corrente francese di una società, ma le autorità locali segnalarono che dietro quella sigla c’era Etete, già condannato per riciclaggio. Allora Eni ci riprovò attraverso una banca in Libano, ma anche lì le autorità si misero di mezzo. A quel punto si decise di versare il denaro direttamente su un conto corrente del governo nigeriano, dal quale poi i soldi sono stati trasferiti a Etete. Eni - noi abbiamo le prove - sapeva che i destinatari finali erano i proprietari della Malabu, vale a dire Etete, i familiari di Abacha e Hassan Adamu».
dan etete
Quali dirigenti di Eni ne erano consapevoli?
«Roberto Casula (capo operazioni e tecnologia di Eni spa, ndr), Stefano Pujatti (responsabile finanziario di Eni East Africa, ndr), Paolo Scaroni (nel 2011 amministratore delegato del gruppo, ndr) e Claudio Descalzi (attuale numero uno, ndr). Queste quattro persone sicuramente conoscevano la destinazione finale dei soldi».
Il governo italiano ha recentemente riproposto Descalzi come amministratore delegato dell’Eni per il prossimo mandato. Lei pensa che sia stata una decisione sbagliata?
«È una scelta che riguarda il governo italiano. Di certo non si può dichiarare qualcuno colpevole prima che finisca il processo».
Alcuni giornali nigeriani hanno scritto che avete trovato nuove prove da cui scaturirebbero ulteriori accuse nei confronti di Eni, Shell e di alcuni manager. Lo conferma?
ENI NIGERIA
«Non posso dire niente: l’unica cosa che mi sento di confermare è che stiamo lavorando sodo».
Lei ha deciso di venire a parlare oggi a Londra di questo caso. Perché crede che l’indagine sull’Opl 245 sia così importante per la Nigeria?
«Innanzitutto va ricordato che l’Opl 245 è considerato uno dei più ricchi giacimenti petroliferi dell’Africa, e il fatto che a causa di queste vicende non sia ancora entrato in produzione è un problema serio: il governo nigeriano sta perdendo molti soldi, per di più in un periodo di recessione economica. Al di là di questo, però, l’inchiesta è importante perché manda un segnale fuori e dentro al Paese: le cose sono cambiate, non funziona più come prima, le società straniere non possono più pensare di venire in Nigeria e fare affari di questo genere, di portare via risorse senza lasciare nulla se non ai più fortunati. Abbiamo un leader molto trasparente, impegnato fortemente nella lotta alla corruzione. Non scherziamo. E con questo atteggiamento vogliamo attirare nuovi investimenti».
dan etete ex ministro del petrolio nigeriano