Alessandro Barbera per “la Stampa”
ventilatori terapie intensive
Come cicale allietate dalla tregua estiva, abbiamo perso tempo prezioso. File ai drive-in per i test e negli ambulatori, ospedali non adeguatamente attrezzati. Abbiamo affrontato l'emergenza, stiamo contenendo la seconda ondata, ma la nostra sanità non è pronta a convivere con il virus.
Lo racconta l'esperienza di molti, emerge dai numeri. Dall'inizio della pandemia il governo ha messo a disposizione circa 3,4 miliardi di euro: finora ne sono stati spesi poco più di un terzo, in gran parte per l'acquisto di mascherine, camici, attrezzature. Prendiamo il caso delle terapie intensive.
Il rapporto consegnato a Palazzo Chigi dal commissario all'emergenza Covid Domenico Arcuri il 9 ottobre dice che i posti letto sono 6.458, uno ogni 9.346 abitanti. Si tratta di un quarto dei posti in più di quelli a disposizione all'inizio dell'anno, appena la metà di quelli programmati dal ministero della Salute. Per il momento - lo rivela sempre il documento di Arcuri - sono occupati appena il 6 per cento dei posti.
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Se però la curva dei ricoveri dovesse impennarsi alcune Regioni potrebbero trovarsi rapidamente in difficoltà. Il 9 ottobre quelle con più ricoverati gravi rispetto ai posti disponibili sono la Campania (14,7 per cento), la Sardegna (13,4), la Liguria (12,4) e l'Umbria (11,43). Le cose vanno meglio alla voce «malattie infettive e pneumologia»: da 6.525 ora i posti sono saliti a 14.195. C'è un enorme però: i nuovi letti sono quasi tutti al Nord. Sono 5.120 contro gli 886 del Centro e i 1.664 del Sud.
L'Italia ha venti sistemi sanitari, e si vede. Il 19 maggio il decreto «Rilancio» ha stanziato 1,9 miliardi per il potenziamento delle strutture sanitarie. Solo ora, a cinque mesi di distanza, le Regioni hanno iniziato a presentare piani per spendere 734 milioni di euro. Nove hanno chiesto ad Arcuri di fare da sole (Abruzzo, Campania, Emilia, Liguria, Puglia, Sicilia, Valle d'Aosta, Trento e Bolzano) tre sono in ritardo, le altre riceveranno i fondi dal commissario su richiesta dei direttori generali delle Asl.
roberto speranza
Per i governatori puntare il dito contro lo Stato è facile, eppure hanno responsabilità enormi nei ritardi. Una delle emergenze post-Covid è quella delle liste d'attesa per gli interventi non urgenti. Ebbene, l'ultimo decreto di emergenza pubblicato il 15 agosto imponeva alle Regioni di prendere provvedimenti «entro trenta giorni». A ieri le amministrazioni che hanno stanziato i fondi sono appena quattro: Piemonte, Marche, Toscana e Veneto. Stessa cosa dicasi per i tamponi: ci sono Regioni in cui i medici di famiglia sono in grado di disporre dei test, altre in cui, prima di farlo, devono chiedere l'autorizzazione alla Asl.
Secondo le stime della loro associazione accade una volta su due. In questi mesi Arcuri ha distribuito 10 milioni e 514mila tamponi, ce ne sono disponibili altri 2,7 milioni, questa settimana ha completato la gara per comprare cinque milioni di test antigenici, quelli che permettono i risultati in poche ore: andranno principalmente alle scuole.
covid psicosi
Ma quanto ci vorrà per distribuirli? E' più o meno il destino del vaccino antinfluenzale: molte Regioni hanno annunciato la distribuzione ben prima di averlo a disposizione. Il ministero della Salute avrebbe ordinato 17 milioni di dosi, il 30 per cento in più dell'anno scorso, ma nella maggior parte dei casi - soprattutto al Sud - non è possibile prenotarsi.
Mai come oggi il governo ha l'opportunità di far recuperare terreno a un sistema sanitario che per vent' anni ha dovuto accontentarsi di non aumentare i fondi. Ma come sempre più degli annunci contano i risultati. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha presentato un piano da 29 miliardi da finanziare con fondi europei, eppure dall'inizio della pandemia non siamo riusciti ad utilizzarne bene e rapidamente nemmeno tre.
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