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    “SEI BELLA COME UNA QUESTURA CHE BRUCIA” – C’ERA UNA VOLTA LA PRIVACY DELLA MAFIA: CON I SOCIAL NETWORK ANCHE I BOSS POSTANO, TWITTANO E METTONO LIKE, PERCHÉ ESIBIRE È L’UNICA COSA CHE CONTA – GLI SCATTI DAL MOTOSCAFO DI DOMENICO PALAZZOTTO, RAMPOLLO DEGLI ARENELLA DI PALERMO, I COMMENTI DI SPADA DOPO LA TESTATA E LA LATITANZA DEL CAMORRISTA SALVATORE D’AQUINO SCOPERTA CON…


     
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    Attilio Bolzoni per “il Venerdì - la Repubblica”

     

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    Come avrebbero mai potuto immaginare di ritrovarsi certi eredi tanto chiacchieroni, proprio loro che avevano per comandamento «la meglio parola è quella che non si dice» e che di scritto avevano lasciato (quasi) niente per almeno due secoli? Ma quale diabolica contaminazione di sangue o di pensiero ha reso grafomani, e per giunta in così poco tempo, quei discendenti con in dote tre o anche quattro quarti di nobiltà criminale?

     

    Dramma di famiglia e di famiglie, intese come clan e tribù sparse tra Palermo e Napoli, fra gli ulivi della Piana di Gioia Tauro e le colline intorno a Corleone. Salto generazionale, ma anche salto nel vuoto di piccoli boss che sembrano avere rinnegato per sempre rotta e tradizione. La privacy pare che sia diventata un optional, la riservatezza un ricordo del passato. Sono i figli della mafia nell' era digitale.

    i boss e i social giovanni tegano i boss e i social giovanni tegano

     

    «Sei bella come una questura che brucia», scrive un giovanissimo camorrista del rione Sanità sul suo profilo Facebook mentre posa con le armi in pugno ad uso e consumo esclusivo (si fa per dire) della sua fidanzatina. Inneggia contro gli sbirri e contro gli infami Giovanni Tegano, nipote dell' omonimo patriarca di Reggio Calabria famoso come "uomo di pace" per avere fermato una sanguinosa guerra a metà degli Anni Novanta.

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    bacioni dal motoscafo

    Esibizionista e tronfio il palermitano Domenico Palazzotto, rampollo della consorteria dell' Arenella. Si mostra in costume, sdraiato su un potente e luccicante motoscafo. Un vero e proprio orrore per i canoni della cultura mafiosa classica, un delirio che invade le piazze virtuali, che paralizza di vergogna i padri rinchiusi nel cupo silenzio del 41 bis dei penitenziari e fa rivoltare nella tomba i loro nonni.

     

    Spadroneggiano dappertutto. Su Fb, WhatsApp, su Instagram e Telegram. Nomi sconosciuti e nomi famosi, tutti insieme spudoratamente. Perché la mafia, ai tempi dei social, non ha distinzione di classe criminale.

    ROBERTO SPADA ROBERTO SPADA

     

    l' anatema del "primogenero"

    C' è Robertino Spada che commenta sarcastico, dopo la testata al giornalista Daniele Piervincenzi: «A buffoni state fa un film pe na capocciata violentano i regazzini e tutto a posto bho vacce a capì qualcosa famo noi un reato ciamazzate». E c' è il marito di Maria Concetta Riina (si definisce il "primogenero" del capo dei capi), l' ex deejay di Tony Ciaravello. Anche per lui tra gli obiettivi ci sono i giornalisti puntualmente presi di mira in rete: «Quello che avete fatto lo riceverete da Dio moltiplicato 9 volte, voi ed i vostri figli fino alla settima generazione». Qualche studioso della materia sostiene che grazie a internet questa prole mafiosa si sia "internazionalizzata".

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    Ma facciamo un piccolo passo indietro tanto per capire come si ragionava prima della rete. Esemplare la dichiarazione di Luciano Liggio ai commissari della Commissione parlamentare antimafia: «Ho letto di tutto, storia, filosofia, pedagogia. Ho letto Dickens e Croce...Ma quello che ammiro di più è Socrate, uno che come me non ha mai scritto niente».

     

    Oppure Totò Riina, che ai magistrati che lo interrogavano sulla sua antica amicizia con Bernardo Provenzano spiegò: «È un mio compaesano, un bravo cristiano, se proprio devo trovargli un difetto è che è... troppo scrittore...». Allusione ai famigerati pizzini attraverso i quali comunicava con la sua ciurma, la "posta certificata" di Cosa Nostra. Prima l' ossessione di lasciare tracce, poi la vanità di seminarle. Le tre scimmiette sono state sotterrate. Il non vedo, non sento, non parlo è diventato un diluvio di parole, una logorrea che veicola sì sempre mafiosità ma con una visibilità sorprendente che sembra non avere più limiti.

     

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    Inserito nella lista del ministero dell' Interno come uno dei ricercati più pericolosi, il camorrista Salvatore D' Aquino ha svelato il luogo della sua latitanza (Estepona in Andalusia) concedendo alla compagna marocchina di postare su Fb qualche foto di loro due abbracciati. Sullo sfondo il mare della Costa del Sol. Beccato per la sua arroganza. Un altro compariello napoletano, Fabio Orefice, scampato a una sparatoria posta in rete come fossero trofei le foto delle sue ferite e avverte gli aggressori: «Il leone è ferito ma non è morto, già sto alzato. Aprite bene gli occhi che per chiuderli non ci vuole niente. Avita muriii». Dovete morire.

     

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    Ma da dove saltano fuori questi stravaganti "malacarne", all' apparenza parvenu del crimine ma pur sempre collegati alle grandi organizzazioni? Perché corrono tanti rischi? È solo per un po' di pubblicità virale? «Sanno coniugare la loro cultura con le moderne forme di comunicazione, trasmettono segnali anche al di fuori della propria cerchia, sfoggiano potere pur sapendo che questo li espone al pericolo di un arresto», spiega Pierpaolo Farina, fondatore di WikiMafia, libera enciclopedia sulle mafie, uno dei primi studiosi italiani del fenomeno della mitizzazione dei boss a mezzo social.

    Nino Mandalà Nino Mandalà

    riina family life Sono stati contagiati anche i figli della 'Ndrangheta e perfino quelli di Cosa Nostra. E uno dei primi ad innamorarsi di Fb non è neanche tanto giovane.

     

    Anzi . È il caso di Antonino, Nino Mandalà, classe 1939, capomandamento di Villabate, che per anni ha imperversato in rete.

     

    Questa voglia di offrirsi agli sguardi altrui, negli ultimi anni è stata indagata fra l' Aspromonte e lo Stretto dal giornalista Klaus Davi che si chiede: «Resta da capire ora se l' avvento dei social determinerà una mutazione genetica dell' identità della mafia calabrese del terzo millennio o se invece la tecnologia sarà l' ennesimo strumento attraverso cui la mafia più potente sarà in grado di ribadire la propria supremazia».

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    Tutto si gioca sul filo del rasoio, fra selfie e segreti, ostentazioni e spericolati incroci, il primordiale che si mischia con il futuro, Madonne che ancora s' inchinano davanti alle case dei boss e like a tempesta. È la nuova frontiera. Il basso profilo poco si adatta ai giorni nostri.

     

    Fa scuola Salvuccio, terzo figlio dello "zio Totò" che su Fb pubblicizza il suo libro Riina Family Life e raduna intorno a sé centinaia di fan invitandoli a scrivere un messaggio privato. Per un autografo e una dedica personalizzata. In nome del padre.

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