Carlo Bertini e Ugo Magri per la Stampa
Il brivido della paura ha iniziato a scorrere dopo il primo voto di fiducia al «Rosatellum», e già al secondo è diventato un tremore. In entrambi casi la maggioranza di governo ha retto (307 e 308 voti), però con una settantina di assenti, tutti onorevoli che ieri avevano altri impegni: giustificati, per carità, ma mettiamoci nei panni dei capigruppo Pd, Forza Italia e Lega alla vigilia della battaglia decisiva di oggi, che si svolgerà a scrutinio segreto con i «franchi tiratori» in agguato.
rosatellum
Sono fiduciosi ma pure parecchio in ansia perché i 130 voti di vantaggio potrebbero svaporare. La storia recente è ricca di queste sorprese. «Ogni voto segreto è un rischio», ammette il presidente Pd Matteo Orfini.
FESTIVAL DEI SOSPETTI
Sbaglia però chi immagina un burattinaio a tirare le fila della congiura. Due passi a Montecitorio bastano a smentire qualunque ipotesi di complotto. L' unica voce Pd apertamente contraria è quella di Rosy Bindi: lei non voterà la riforma e lo annuncia senza paura. Specularmente scontento Gianni Cuperlo: lui non vota la fiducia, però sosterrà la legge. Nel palazzo regna il torpore, di certo non l' eccitazione tipica delle grandi vigilie. Se il «Rosatellum» farà la pessima fine del «Tedeschellum» sarà per la miriade di frustrazioni individuali che, sommate insieme, potranno fare massa critica.
ROSATELLUM
Dentro Forza Italia sono in rivolta gli onorevoli da Bologna in giù, perché sanno che dei collegi uninominali al Centro e al Sud il Cavaliere non ne porterà a casa uno; nel Pd, viceversa, il maldipancia afferra quasi tutti i deputati del Nord perché la speranza di essere rieletti nella quota maggioritaria sembra pari a zero. Per tutti questi scontenti sarebbe meglio il mix attuale tra liste bloccate e preferenze. La tentazione di votare contro è bilanciata solo dal terrore di venire scoperti. Anche per questo mettono in giro strane voci, secondo cui ad affondare la legge sarebbero proprio gli amici di Renzi.
I quali sdegnati minacciano contromisure nello stile della casa che consiste nel parlar chiaro. «Vi conosciamo uno per uno», è il primo messaggio recapitato ai potenziali traditori. Il secondo: nel caso di sconfitta, nessuno verrebbe ricandidato, a parte i super fedeli al Capo.
LO SCUDO DEL COLLE
renzi mattarella gentiloni
C' è chi va oltre e si domanda se Gentiloni potrebbe reggere dopo un urto del genere. Nel «Giglio Magico» sono tutti concordi che in quel caso il premier salirebbe al Colle per dimettersi, e le elezioni sarebbero anticipate a febbraio, con un mese di stipendio in meno per tutti i deputati. Lo scenario apocalittico non trova in verità conferme nelle altissime sfere istituzionali, dove chi le frequenta risponde così: «Dimissioni del premier? Per niente scontate. Gentiloni sarebbe reduce da tre voti di fiducia in due giorni, e ci sarebbe la Finanziaria da portare a casa».
Getta preventivamente acqua sul fuoco quella volpe navigata di Dario Franceschini: «Vedrete, la legge passerà in quanto nessuno avrà voglia di fare un autogol del genere che favorirebbe soltanto i grillini».
LA DENUNCIA DI NAPOLITANO
NAPOLITANO
Se tutto andrà come scommette Franceschini, domani la legge traslocherà al Senato. Una settimana al massimo per l' esame in Commissione e dal 24 ottobre la resa dei conti in Aula. Anche qui, con il ricorso alla fiducia, sebbene a Palazzo Madama non ci siano voti segreti da scansare, semmai per fare più in fretta. Incombono le elezioni siciliane che potrebbero scompaginare i calcoli delle convenienze, vai a sapere se qualche leader sconfitto cambierà idea.
Ma proprio al Senato c' è lo scoglio Napolitano da superare. Il presidente emerito rende noto che interverrà nel dibattito per contestare un aspetto specifico della legge (l' indicazione del «capo politico» per ogni lista), e soprattutto per denunciare «l' ambito pesantemente costretto in cui qualsiasi parlamentare può far valere il suo punto di vista». Una censura di metodo importante che, per l' autorità da cui proviene, non può lasciare Renzi sereno.