Greta Sclaunich per “CorrierEconomia - il Corriere della Sera”
Circa 69 miliardi di dollari quest’anno, un centinaio il prossimo e, a salire, fino a 180 entro la fine del 2019. Nella migliore delle previsioni. Infatti le cifre che, secondo le stime di eMarketers, gli inserzionisti sono pronti a spendere per l’advertising mobile potrebbero anche essere riviste al ribasso: stando al Financial Times starebbe per scoppiare una guerra tra gli operatori telefonici e i big della tecnologia.
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In palio ci sono i nostri smartphone. Per i colossi del tech, finora, sono stati una porta attraverso cui farci arrivare pubblicità, tramite navigazione su siti Internet e applicazioni. Un varco che, invece, gli operatori telefonici vorrebbero avere la possibilità di chiudere. Secondo il quotidiano londinese il blocco potrebbe già partire entro la fine del 2015. Ma attenzione, questo non significa che non riceveremo più pubblicità sui nostri telefoni: l’advertising che viene caricato all’interno di piattaforme come Facebook e Twitter continuerà a comparire sui nostri schermi. A scomparire saranno invece gli annunci sulle pagine web e nei software che scarichiamo.
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L’arma a disposizione delle compagnie telefoniche si chiama Shine Technology ed è una startup lanciata nel 2011 dagli israeliani Alon Blayer-Gat, Oren Farage e Ron Porat.
L’obiettivo degli strumenti sviluppati dalla società israeliana è di migliorare la navigazione degli internauti bloccando pop-up, video e altre forme di pubblicità che, oltre a essere invasive, risultano anche dispendiose. Secondo i calcoli della startup questi contenuti mangiano una percentuale dal 10 al 50% del nostro piano tariffario.
La sede principale della società si trova nella Silicon Valley e per ora ha ricevuto finanziamenti per 3,3 milioni di dollari. Non una somma enorme, ma basta guardare chi ha sbloccato il fondo per capire il potenziale della startup: dietro il finanziamento c’è infatti Horizon Venture, il gruppo di investimento del magnate cinese Li Ka-Shing, il Paperone dell’Asia. E, guarda caso, anche il proprietario di Hutchinson Whampoa, uno dei gruppi di telecomunicazioni più grossi del mondo.
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Roi Charty, il manager marketing di Shine, ha confermato al Financial Times le indiscrezioni: «Decine di milioni di utilizzatori di dispositivi mobili in tutto il mondo potranno scegliere di bloccare l’advertising entro la fine dell’anno». Sottolineando che, fatte le dovute proporzioni, l’operazione potrebbe «avere un impatto devastante sull’industria dell’advertising online».
Infatti Shine ha confermato di essere al lavoro con un certo numero di operatori, incluso uno che dalla sua ha un bacino di 40 milioni di utenti. Per ora pare si pensi di procedere per gradi: il primo passo dovrebbe essere il lancio di un servizio al quale gli utenti potranno scegliere di aderire per eliminare l’advertising dai loro dispositivi mobili. Ma ci sarebbe anche una seconda opzione in ballo, e cioè quella di passare subito al blocco per tutti gli utenti. Coinvolgendo quindi un potenziale bacino di milioni di persone.
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Mentre su mobile il blocco dell’advertising è ancora agli albori, quello relativo ai pc è già partito: oltre 140 milioni di persone, cioè circa il 5% dei navigatori online di tutto il mondo, usano software che fungono da muro per la pubblicità indesiderata. I big del tech sono già corsi ai ripari: nel febbraio scorso Google, Microsoft e Amazon hanno stretto un accordo con Adblock Plus, una delle aziende che producono questi software, per consentire il passaggio di alcune pubblicità. Ora però pare stia per aprirsi un nuovo fronte, quello mobile.
A farne le spese di un eventuale blocco sarebbe soprattutto Google. Il colosso è, infatti, il cuore del business mondiale collegato all’advertising: il giro d’affari intorno alle pubblicità sulle piattaforme di Big G, dal motore di ricerca a YouTube, arriva fino a 60 miliardi di dollari all’anno. Certo, una mossa del genere presenta non pochi rischi. Sia dal punto di vista legale che da quello delle relazioni fra aziende.
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Ma, nota il Financial Times, bloccare l’advertising online che arriva sui nostri smartphone tramite Google per un periodo di tempo limitato (da un’ora a un giorno) potrebbe bastare per costringere il colosso a scendere a patti con le società di telecomunicazione. Se sono così attive, infatti, non è certo per liberare gli smartphone dalla pubblicità ma per spingere i big del tech a investire nelle loro infrastrutture. Visto che su queste si appoggiano per far viaggiare l’advertising, una delle loro principali fonti di introiti.