Mario Piccirillo per www.ilnapolista.it
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Vitali e Wladimir Klitschko hanno preso a pugni il mondo per 16 anni con una certa insistenza. Hanno dominato i pesi massimi della boxe dal 1999 al 2015, lasciando agli altri – ai non-Klitschko – solo 18 mesi di tranquillità, sparpagliati sul ring come briciole. E gli ha sempre fatto schifo tutta la retorica bellica di cui la narrazione dello sport abusa per tic: la “sopravvivenza” in difesa, i tiri “bomba”, gli avversari “assediati”, squadre che trionfano sul “territorio nemico”, le proteste nel “calore della battaglia”.
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Lo sport semina terminologia e tropi della guerra. E’ una sottotraccia innocua finché non arriva la guerra vera. Ecco, i fratelli Klitschko quell’enfasi vuota l’hanno sempre schivata. Perché – dicevano – “noi lo sappiamo com’è fatta la guerra”. E lo sanno pure adesso che sono partiti per il fronte ucraino, per combattere la sproporzionata avanzata russa. “Siamo pronti a morire”, hanno detto. Al loro fianco un esercito di fortuna, fatto di medici, attori di teatro, giovani e anziani. Gente normale.
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Ironia della sorte, pochi pugili hanno fatto sembrare la boxe meno simile a una guerra di Vitali e Wladimir Klitschko. Come aderenti al principio, hanno dominato uno sport cruento e viscerale trattandolo come un esercizio intellettuale, un affare di angoli e geometrie, leve e pulegge, economia ed efficienza. I loro record – 40 vittorie in combattimenti per il titolo mondiale in due, più di un decennio a testa da campione del mondo – sono freddi. Gli appassionati li hanno ammirati, mai davvero amati, per lo stile tecnicamente magistrale, scaltro, ma raramente entusiasmante.
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Persino i loro soprannomi – Wladimir era “Dr Steelhammer”, Vitali “Dr Ironfist” – si rifanno ai loro dottorati in scienza dello sport. Ma restano scostanti, dissonanti rispetto alla pacchianeria di certi riferimenti animali che usavano per altri che poi puntualmente le prendevano. Spiccavano nella spacconeria e corruzione del sistema boxe, e ancora oggi hanno un’immagine immacolata.
Vitali, che adesso ha 50 anni, è il sindaco di Kiev, la capitale che a giorni finirà per essere il centro di fuoco dell’attacco russo. Wladimir, il fratello minore, si è arruolato nell’esercito. Sono i due volti più riconoscibili dell’Ucraina resistente.
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Persino la loro biografia è marziale. Sono cresciuti in una famiglia di militari. Il padre Vladimir era colonnello dell’aviazione sovietica, costantemente costretto a trasferirsi per lavoro. Loro sono cresciuti in scuole di guarnigione, hanno vissuto in caserma, circondati da attrezzature militari, giocando a nascondino tra pile di fucili e munizioni, granate e mine. Quella che per noi è metafora è stata la loro vita.
Hanno picchiato bulli per tutta l’infanzia. C’è una scena del documentario del 2011 “Klitschko”, in cui mamma Nadezhda racconta il giorno in cui una madre e un bambino bussarono alla loro porta, il ragazzino con il naso rotto. Vitali ammise, freddissimo: “Ha buttato il mio cappello in una pozzanghera dopo che lo avevo avvertito di non farlo. Quando l’ha fatto di nuovo, l’ho preso a pugni”. Amen.
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Nel 1986 il padre era di stanza vicino alla centrale nucleare di Chernobyl, e nei giorni successivi al disastro volò in missione per far lanciare blocchi di piombo sul reattore fumante. “Ci dissero che andava tutto bene”, racconta Vladimir nel documentario, girato pochi mesi prima che suo padre morisse di cancro ai linfonodi.
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Tutta questa vita li trasformati da campioni in statisti e soldati. Che è un modo tangibile di riconoscere che la guerra rimette lo sport in prospettiva, soprattutto se la prospettiva è la loro. L’anima commerciale dello sport moderno si basa sull’idea che ciò che vediamo è reale: vero conflitto, vere poste in gioco. Quando vediamo due pugili barcollare pesti e sanguinanti sospendiamo un po’ la nostra incredulità, ci commuoviamo per trasporto. Ecco, i fratelli Klitschko questa parte l’hanno saltata, non ci hanno mai creduto del tutto.
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Per volere della madre hanno rifiutato offerte incredibilmente redditizie per combattere l’uno contro l’altro. Il sogno bagnato di Don King: lo scontro fratricida tra due campioni del mondo dei pesi massimi. “I nostri avversari non conoscono la nostra arma segreta”, disse una volta Vitali. “Anche se c’è una sola persona sul ring, stanno combattendo contro due persone”. Che ora vanno a fare la guerra quella vera. All’angolo si sono portati la gente qualunque.
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