Marco Giusti per Dagospia
RAPINIAMO IL DUCE
Come vanno le cose al Festival di Roma? Direi bene, anche se non vedo grandi cose, ma una valanga di film e serie che vedremo, presto o prestissimo, più in streaming che in sala. Ma va bene anche così, anche perché non è che ci sia tutta questa differenza, ormai, tra i film, soprattutto italiani, pensati per la sala e quelli pensati per lo streaming. Ahimè. Intanto due buone notizie. “Il colibrì” di Francesca Archibugi con Pierfrancesco Favino e Berenice Bejo, uscito ieri al cinema, è andato piuttosto bene.
134 mila euro con 20 mila spettatori in 428 sale, cioè 48 spettatori a sala, secondo posto dietro il potente ultimo capitolo della saga di “Halloween”, cioè “Halloween Ends” con Jamie Lee Curtis, 142 mila euro con 19.520 spettatori per 286 sale, 68 spettatori a sala. Il pubblico di Prati-Pinciano-Salario, insomma, anche per mandar giù il nuovo governo della Meloni, ha fatto qualcosa di sinistra e è andato al cinema a vedere il film dell’Archibugi con Favino e Nanni Moretti, che promette di andare un filo meglio di “Siccità” di Paolo Virzì, ieri ottavo con 25 mila euro dietro i 45 mila euro di “Dante” di Pupi Avati, quinto, col suo pubblico di anziani, mentre l’innovativo e curiosamente morettiano al femminile “Amanda” di Caterina Cavalli con Benedetta Porcaroli si è piazzato 15° con 8 mila euro di incasso.
RAPINIAMO IL DUCE
Da parte sua, e questa è la seconda buona notizia legata al Festival di Roma, Nanni Moretti ha aperto al neo-Presidente Gianluca Farinelli e al neo-Direttore Paola Malanga le magiche porte del Nuovo Sacher, che stava diventando il parcheggio dell’adiacente e ben più vitale Cinema Troisi al Festival del Cinema di Roma e ha cominciato, proprio ieri sera con “Il colibrì”, a proiettare una selezione di film del Festival tutti scelti dallo stesso Moretti. Si vedranno, in pratica, fino al 25 ottobre, cioè fino a due giorni dalla fine del Festival, i migliori film della rassegna, ampliando e allungando gli spazi e i tempi della rassegna. Anche se, continuo a osservare, che molti di questi film del Festival sono già previsti in streaming tra pochi giorni.
RAPINIAMO IL DUCE
A cominciare dal film che ho visto stamane, e che passerà al Nuovo Sacher lunedì 17 alle 16, 30, cioè “Rapiniamo il duce”, scritto e diretto da Renato De Maria con Pietro Castellitto, Matilda De Angelis, Tommaso Ragno, Isabella Ferrari, Filippo Timi, ma che ha prodotto Angelo Barbagallo per Netflix Italia e su Netflix uscirà il 26 ottobre. Come mi è sembrato? Fino a metà film mi ha divertito molto.
Una sorta di “Freaks Out” di Gabriele Mainetti meno ambizioso e decisamente meno ingenuo, con una ricostruzione visiva della Milano occupata dai repubblichini di Salò piuttosto riuscita e dei bellissimi ambienti illuminati da Gianfilippo Corticelli Pietro Castellitto e Matilda De Angelis, coppia sul set e nella vita, credo sia ancora così, giovani, belli, adorabili, fanno quasi un film a parte. Che vorrei vedere magari più sviluppato. Lui si muove con grazia e intelligenza, lei canta benissimo “Paint It Black” in versione italiana e si divide tra le braccia del giovane ladro e amante Castellitto e quelle avide del gerarca fascista Achille Borsalino di Filippo Timi, torvo e senza cuore, a sua volta sposato con la perfida attrice del cinema dei telefoni bianchi Nora Cavalieri, cioè Isabella Ferrari.
Ma aggiungono non poco pepe alla vicenda l’ormai onnipresente, ma continua a piacermi sempre, Tommaso Ragno come braccio destro del ladro Castellitto, un divertente Maccio Capatonda che fa un campione di automobilismo pippatissimo e dalla parte giusta della storia, un Maurizio Lombardi che fa un divertente e svaporato regista di Salò più simile a un Mario Bolognini o a un sub-Visconti che a un Fernando Cerchio, come era nella realtà. De Maria si diverte anche con qualche citazione del cinema del Ventennio.
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Qual è il primo nudo del nostro cinema? Quello di Clara Calamai in “La cena delle beffe” o quello dell’oscura Vittoria Carpi in “La corona di ferro” di Alessandro Blasetti? Eppure, a un certo punto, il film perde di interesse e non riesce più a muoversi con la stessa freschezza iniziale. Non so. Magari per colpa della storia un po’ pesante, con le torture ai partigiani, col gerarca Timi, magari per le divagazioni sui personaggi.
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Ma se De Maria ha la cultura e l’età per poter parlare di un film ambientato nella Milano del 1945, non ha poi la sfrontatezza necessaria di un giovane regista nel muoversi liberamente con modelli più moderni di cinema. E allora non capiamo perché inserisce continuamente canzoni moderne, come “Se bruciasse la città” su situazioni storiche pur ben ricostruite. Così si perdono i pur divertenti innesti comici di Maccio Capatonda in una storia che in fondo ha una base storica credibile. Magari il problema è che De Maria, come altri registi italiani, non è adatto al cinema comico-picaresco di matrice storica. Non ha la leggerezza necessaria.
E davvero ci dispiace che il film non funzioni fino in fondo come avremmo sperato, perché per parecchio tempo ci illude di aver fatto un piccolo miracolo, di averci portato non dico ai tempi di “La marcia su Roma” di Dino Risi, ma almeno di “Telefoni bianchi”. Ma Pietro Castellitto e Matilda De Angelis si muovono benissimo su questi set e già mezza magia è compiuta.
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