Federico Fubini per https://www.corriere.it
BORSA DI MOSCA
Lunedì sera i vertici della Commissione europea erano ancora in contatto con rappresentanti di Italia, Francia, Germania, Spagna e Olanda in vista di un’ulteriore stretta sul sistema finanziario russo. Finora le sanzioni coprono circa il 70% delle attività bancarie, ma si lavora ad allungare la lista.
IPOTESI DI NUOVE SANZIONI
La Francia, che ha la presidenza di turno dell’Unione, sostiene un blocco pressoché totale. Germania e Italia sono meno radicali: vogliono lasciare aperti canali in grado di garantire gli acquisti di gas e stimano il blocco già deciso sul 55% delle riserve della banca centrale di Mosca denominate in euro (32,3%), dollari (16,4%) e sterline (6,5%) sufficiente a paralizzare l’economia russa. Che però in Europa si discuta di nuove sanzioni significa che la prima ondata delle misure più dure ieri ha superato il test dei mercati: ha portato un certo grado di devastazione finanziaria in Russia, senza contraccolpi intollerabili — per ora — in Europa e negli Stati Uniti.
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IL CASO DI LCTM
Non era scontato. Sulla Russia oggi insistono duemila miliardi di dollari di debiti complessivi dello Stato, delle famiglie e delle imprese (eccetto banche e assicurazione). I bond emessi sui mercati valgono circa 700 miliardi di dollari, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, e un’ampia parte di essi si trova nei bilanci di banche e fondi d’investimento occidentali.
Poiché questa carta oggi è intoccabile, molti operatori europei e americani si trovano di fronte a perdite sulla Russia. La marea della liquidità internazionale si sta ritirando dal Paese ma — secondo la metafora di Warren Buffett — si inizia a vedere che nessun grosso operatore stava nuotando nudo. La reazione composta dei mercati globali ieri sembra indicare che, a meno di sorprese dei prossimi giorni, non si ripeteranno scene come quelle di Ltcm nel 1998.
BORSA MOSCA
Allora quello hedge fund newyorkese puntò con forza sulla Russia, in parte grazie a fondi ottenuti indebitandosi per 100 miliardi di dollari. Quando Mosca fece default nell’agosto di quell’anno, Ltcm dovette vendere a precipizio il resto del suo portafoglio nel tentativo di rientrare dai debiti e fece crollare Wall Street. La Fed di New York fu costretta a coordinare un salvataggio, prima che le grandi banche americane venissero investite dal crac.
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FRENA L’AUSTRIA
Almeno ieri, invece, il film di Ltcm non si è ripetuto. Lo spread fra titoli di Stato tedeschi e italiani è persino sceso da 166 a 159 punti, perché la guerra in Ucraina allontana il rialzo dei tassi d’interesse da parte della Banca centrale europea. Per lo stesso motivo si sono distesi tutti i rendimenti sovrani in Europa. E poiché gli istituti austriaci risultano fra i più esposti su Mosca, persino l’intransigente governatore della banca nazionale di Vienna Robert Holzmann in pochi giorni è passato dal chiedere un rapido aumento dei tassi a posizioni attendiste.
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I MERCATI OCCIDENTALI
Tutto questo ha sostenuto le piazze azionarie occidentali, abituate a trovare coraggio nelle cattive notizie — persino una guerra in Europa — perché è allora che contano di più sull’aiuto delle banche centrali. La Borsa di Londra ha perso appena lo 0,2%, Francoforte lo 0,7%, Zurigo lo 0,1%, Milano l’1,39% malgrado abbiano pesato le scivolate di Unicredit (-9,48%) e Intesa Sanpaolo (-7,43%) per la loro presenza in Russia.
Quanto ai grandi gestori di risparmio americani — da Pimco, a BlackRock, fino a Fidelity — subiranno perdite sugli investimenti russi, ma questi rappresentano quote nel complesso marginali dei loro attivi. Colpiti più duramente saranno invece i colossi globali del petrolio e del gas, costretti a uscire con forti perdite dalle joint-venture russe: da Bp a Shell (che lo hanno già annunciato) a Exxon e Total che probabilmente seguiranno.
LA GUERRA COLPISCE ANCHE IL GRANO
INFLAZIONE DA CIBO
Ma nel complesso le più dure sanzioni mai dirette a una grande potenza nel dopoguerra non hanno portato un Armageddon sui mercati. Solo visto da Mosca il panorama si presenta diverso. Il rublo è crollato sull’euro fino a segnare un meno 27%, anche se la banca centrale ha introdotto controlli all’uscita dei capitali e più che raddoppiato i tassi d’interesse dal 9,5% al 20% nel disperato tentativo di arginare l’emorragia finanziaria.
La Russia finirà dunque in recessione, mentre l’inflazione sembra destinata a esplodere verso livelli molto sopra al 10%. La Borsa di Mosca ieri è rimasta chiusa (lo stop alle contrattazioni è previsto anche per oggi) ma i titoli russi a Londra hanno subito un tracollo: -74% Sberbank, la prima banca del Paese; meno 80% il distributore alimentare Magnit; meno 62% il colosso del petrolio Lukoil.
NUOVA ONDATA DI INFLAZIONE IN EUROPA
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Anche gli oligarchi russi non raggiunti da sanzioni personali stanno soffrendo. Ma questo non significa che la situazione abbia raggiunto una nuova stabilità, con la Russia isolata dal mondo. Anche per le economie avanzate due incognite gravano sul futuro.
La prima riguarda la nuova ondata d’inflazione di guerra in arrivo in Europa, perché la tensione geopolitica sta facendo salire il prezzo quasi tutte le materie prime essenziali: ieri il gas naturale in Europa è rincarato del 3,4%, il Brent del 3%, il grano del 9% e il mais per allevamenti anche di più. È solo questione di tempo prima che i rincari colpiscano soprattutto i ceti più deboli sui beni alimentari e le bollette, anche in Italia, mentre la guerra frena la ripresa. Nel 2022 uno scenario di stagflazione non è affatto escluso.
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GAS E PETROLIO
La seconda area d’incertezza riguarda invece le forniture di greggio e gas russi, anche se Mosca decidesse di non tagliarle per ritorsione. È quasi inevitabile che con il tempo si crei una pressione crescente perché gli stessi compratori riducano di molto gli acquisti. Anche l’Italia sta entrando in terra incognita.