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    “LA SCENA DI SESSO PERFETTA IN UN LIBRO E' QUELLA SENZA TABÙ” FELICIA KINGSLEY, NOM DE PLUM DI SERENA ARTIOLI, SCRITTRICE D’AMORE DA 2 MILIONI DI COPIE, RACCONTA COME SI DIVENTA UN FENOMENO EDITORIALE - “IL SESSO È TANA LIBERA TUTTI: VALE OGNI COSA, FEMMINISTA O NO. L’IMMAGINARIO ROMANTICO TRADIZIONALE È TOSSICO? VORREI DOSARE L’USO DEL TERMINE. LE PAROLE SI USURANO. NON C’È NULLA DI MALE NEL ROMANTICIZZARE L’AMORE. I MIEI LIBRI COSTANO POCO? SONO CONTENTA SE UNO NON DEVE SCEGLIERE TRA LEGGERMI E FARE BENZINA…”


     
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    Estratto dell’articolo di Irene Soave per il “Corriere della Sera”

     

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    […] l’architetta Serena Artioli incarna il lieto fine professionale sognato segretamente da molti scrittori: con il suo nom de plume che è Felicia Kingsley è cioè la scrittrice italiana più venduta del 2023, prima in classifica per gran parte dell’anno, due milioni di copie dichiarate di cui quasi uno nel 2023, quindici titoli pubblicati dal 2017. Tra gli ingredienti del successo: «Buona presenza social; un editore, Newton Compton, che crede in me sin da subito e mi ha pubblicata senza riserve»; ambientazioni all’estero, salgariane perché «ci viaggio ormai pochissimo»; prezzi di copertina da tre euro in su.

    […]

     

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    A ogni femminicidio si dice, tra l’altro, che l’immaginario romantico tradizionale è «tossico». Lei scrive romanzi rosa. Che ne pensa?

    «Vorrei cominciare a dosare l’uso della parola “tossico”: le parole si usurano. Nei miei romanzi cerco di ritrarre ragazze che non rincorrono il principe azzurro e uomini che vogliono una compagna che tenga loro testa. Ma non c’è nulla di male nel romanticizzare l’amore: le aspettative alte porteranno pure a delusioni, ma non averle vuol dire accontentarsi del minimo».

     

    Chi paga al primo appuntamento?

    «Spesso la disparità è fare a metà: in una realtà lavorativa come la nostra, una donna su due è inoccupata, molte devono lasciare il lavoro... Quando saremo pari su questo piano, allora si può cominciare a esserlo anche al ristorante».

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    […]

     

    Quanto sta al cellulare?

    «Più o meno sette ore al giorno. Mi scrivono persone che raccontano le loro vite, gravidanze, difficoltà. I miei libri non cambieranno vite, ma ci facciamo compagnia.

    Molti esagerano e mi scrivono: grazie per avermi regalato questa storia. Ma quale regalato, l’hai pagata».

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    Poco. Alcuni suoi libri vanno in vendita a tre euro.

    «Una scelta dell’editore, che condivido. Sono contenta se uno non deve scegliere tra leggermi e fare benzina».

     

    Chi sono le sue lettrici?

    «All’inizio ero io stessa. Scrivevo su quadernini o salvandole su floppy disk le storie che avrei voluto leggere io. Oggi sono donne di ogni età, soprattutto donne mature o ragazze sotto i 20 anni. E anche giovani donne attorno ai 30. Mi piace pensare di scrivere per mediowoman, la donna media. Che poi sono io».

     

    Per chi vota?

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    «Ho votato di tutto, mi manca solo la Südtiroler Volkspartei. L’ultima volta ho votato per persone che stimavo, il partito non lo dico. Una ha vinto, una no».

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    Come lavora?

    «Ho poche aspettative nei confronti delle mie performance, forse sono anche troppo autoindulgente».

     

    Insomma: ha pubblicato 15 romanzi in sei anni.

    «Ho sempre pubblicato mentre avevo il progetto seguente già aperto, e ne ho scritti due l’anno fino all’arrivo di mio figlio. Bugiarde si diventa l’ho editato davvero durante il travaglio. Poi il lavoro è rallentato, per forza».

     

    Le pesa?

    «Ci sono giorni che penso: oggi prendo un aereo e sparisco. Ma non si può fare e quindi si cerca di incastrare un po’ tutto. Non esco mai».

     

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    Fa ancora l’architetta?

    «Mi sono quasi fermata, ma progetto i miei libri come case: parto dall’analisi di punti di forza, punti deboli, opportunità e rischi»

     

    Rischi?

    «Se le premesse non tengono crolla pure un romanzo. Perché i personaggi vivono come vivono? I dialoghi reggono o parlano tutti uguali? I romanzi che ci sono in giro sono pieni di problemi».

     

    Un esempio?

    «Cinquanta sfumature. È stato una rottura nell’immaginario femminile di quegli anni che era molto romantico e inibito. Una donna che sceglie di farsi sottomettere perché? Perché le piace. Molto acuto. Ma si poteva scrivere meglio».

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    Come si scrive bene una scena di sesso?

    «Regola numero uno, contare le mani: se una è sulla natica di lei e una sulla nuca, è una terza mano che regge lo champagne…? Poi bisogna chiudersi alle inibizioni, il sesso è tana libera tutti: vale ogni cosa, femminista o no. Infine essere brevi: non per altro, ma i sinonimi sono pochi...».

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