Concetto Vecchio per www.repubblica.it
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Il segno del nuovo è dato dalla Fiat 500 di Giorgia Meloni che fatica a farsi largo in via della Scrofa. È mercoledì mattina e la donna più potente del Paese ha riunito lo stato maggiore di Fratelli d'Italia nella sede del partito, al civico 39. "Siamo in via della Scrofa", ripetono gli inviati nei loro collegamenti televisivi.
La sede del FdI accolse prima il Msi
È il quartier generale della destra da quarant'anni, Giorgio Almirante vi impiantò la sede del Msi nel 1983; ora è il bastione del potere che avanza. Come lo furono Piazza del Gesù ai tempi della Dc, via del Corso durante il craxismo, Botteghe Oscure quando c'era il Pci.
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Ebbe naturalmente una sua importanza ai tempi di Gianfranco Fini, ma sempre oscurata da "via del Plebiscito", la magione di Silvio Berlusconi: lì stazionavano, giorno e notte, giornalisti, curiosi, turisti desiderosi di incontrare lui. Quelli di via della Scrofa erano i parenti poveri, mai del resto un esponente della destra poté pensare di aspirare a guidare palazzo Chigi. Adesso quel momento è arrivato.
Nel cuore della Capitale
È una strada tra via della Stelletta e via delle Coppelle, all'incirca tra la Camera e il Senato. Ora è sera, la riunione dei colonnelli meloniani è finita da un pezzo, il portone è sbarrato, è quasi buio, ma ci sono ancora delle troupe televisive che trasmettono in diretta. Una camionetta dell'esercito vigila. I commercianti non sembrano molto contenti del viavai. La sede è tra una boutique di abbigliamento femminile e un barber shop, all'angolo spicca l'insegna di un forno.
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Il viavai: Bocchino ed Alemanno
Dal portone esce Italo Bocchino, l'ex braccio destro di Fini al momento della scissione dal Cavaliere, quando Berlusconi furibondo per il divorzio prometteva: "Dalla fogna li ho fatti uscire e nella fogna li faccio tornare". Bocchino era così potente da regalarsi un'autobiografia.
È il direttore editoriale del Secolo, lo storico giornale dei missini, anche se non è proprio l'organo ufficiale di Fratelli d'Italia, perché in realtà appartiene alla Fondazione di Alleanza nazionale, gestita dagli ex e che ha i suoi uffici al secondo piano. Dalla vetrina al civico 43 campeggia lo schermo con gli aggiornamenti dell'homepage del Secolo, che, si limita a dire Bocchino, "va benissimo, è tra i venti siti d'informazione più letti". Vi spiccano soprattutto articoli su Meloni.
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Passa qualche minuto ed ecco spuntare Gianni Alemanno. "Anche lei qui?" "Ho il mio ufficio nella sede della Fondazione, ma come sa ho preso le distanze da FdI dopo la guerra in Ucraina". Alemanno era dato come candidato di Italexit, il movimento di Gianluigi Paragone. "Ha votato Meloni?". "Il voto è segreto", risponde sornione. Anche lui sguscia via di fretta. La destra dà l'impressione di essere come una grande famiglia allargata dove però bisogna muoversi con molta cautela, specie ora che il potere sfodera le sue lusinghe.
Meloni nella stanza di Almirante
A pianterreno c'è la redazione del Secolo, esce solo online, ma i locali sono stati requisiti temporaneamente dalla comunicazione del partito, e i redattori sono stati costretti a lavorare in smart working. La stanza di Giorgia Meloni è al secondo piano, in fondo al corridoio a sinistra. È la stessa che occupava Giorgio Almirante, il fondatore del Msi, che disegnò di suo pugno il simbolo, la fiamma tricolore, che ancora arde nel simbolo di FdI. Prima di lei la occuparono Fini e Pino Rauti, detto "il Gramsci nero". Il Msi di Almirante era fuori dall'arco costituzionale, veleggiò per una vita intorno al cinque per cento.
Un elettorato di colonnelli in pensione, nobildonne, nostalgici del fascismo, l'Italia benpensante e perbenista che aveva nel Tempo, diretto da Gianni Letta, e nel Borghese i suoi organi di riferimento. "A casa mia Il Secolo lo legge solo il cameriere, che è fascista", disse una volta Arturo Michelini, il predecessore di Almirante. L'episodio si ritrova in Mal di destra, scritto da Stefano Di Michele e Alessandro Galiani. Insomma, era un mondo ai margini.
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La prima sede del Msi, ricorda Filippo Ceccarelli in Invano, era sistemata in un palazzone di corso Vittorio, a pochi passi dalla chiesa del Gesù, "non c'erano mobili né tavoli, l'unica macchina da scrivere era poggiata su una cesta". Poi il Msi si trasferì in via delle Quattro Fontane, in un palazzo chiamato del Drago, il cui portiere era il papà di Enrico Montesano. Almirante e l'altro fondatore, Pino Romualdi non si amavano, fu un duello per tutta la vita; di Romualdi i giovani ne imitavano la cadenza romagnola ("il fassismo tornerà!").
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Molto tempo dopo arrivò la stagione del centrodestra, la scoperta del potere - dal 1994 al 1996, e dal 2001 al 2011 con qualche interruzione - di Fini, La Russa, Tatarella. Ora i nuovi potenti si chiamano Ciriani, Donzelli, Lollobrigida, Crosetto. La Russa è sopravvissuto a tutti i rovesci.
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Almirante e Romualdi morirono a 24 ore di distanza l'uno dall'altro, nel maggio del 1988. La camera ardente fu allestita a pianterreno di via della Scrofa, vennero Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta, i funerali, in piazza Navona, trasmessi dal Tg1. "La grande stampa scopre il popolo missino" scrive Adalberto Baldoni ne La storia della destra. Giorgia Meloni aveva 11 anni. E adesso "è la madre della nazione", come titola Die Zeit.
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