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    LA TORINO DEI GIUSTI - UNICO FILM ITALIANO IN CONCORSO A TORINO, “LA LUNGA CORSA”, OPERA SECONDA DI ANDREA MAGNANI, È UNA SORTA DI FAVOLA DI PICCOLO REALISMO MINIMALE, UN TEMPO SI SAREBBE DETTO “ZAVATTINIANO”, INTERPRETATA DAL BUFFO, STRALUNATO ADRIANO TARDIOLO, PROTAGONISTA DI “LAZZARO FELICE” DI ALICE ROHRWACHER. IL FILM SI MUOVE IN UN MONDO ALLA KAURISMAKI, MA NON PER QUESTO NON HA LA SUA ORIGINALITÀ. E TUTTI GLI ATTORI MI SEMBRANO MOLTO BEN COSTRUITI - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Torino Film Festival. Unico film italiano in concorso a Torino, “La lunga corsa”, opera seconda di Andrea Magnani, che già si era distinto con “Easy”, è una sorta di favola di piccolo realismo minimale, un tempo si sarebbe detto “zavattiniano”, interpretata dal buffo, stralunato Adriano Tardiolo, protagonista di “Lazzaro felice” di Alice Rohrwacher.

     

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    Riprende quasi dal film della Rohrwacher sia il protagonista che il candido personaggio, un Totò il buono di “Miracolo a Milano”, che diventa qui il buffo Giacinto, ragazzo nato in carcere, figlio di una detenuta, la Aylin Prandi di “Diaz”, cresciuto tra un secondino baffuto di buon cuore, Giovanni Calcagno, e una grossa ergastolana dell’Est, la strepitosa Nina Naboka.

     

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    Se Giacinto non ha un vero carattere, è un Harry Langdon gentile che viene menato dai compagni da scuola da piccolo, seguito a sbagliare le mosse che gli permetterebbero di crescere e non si impone mai, a parte quando corre, tutti gli altri personaggi che lo sfiorano, dalla madre all’ergastolana al secondino, alla buffa direttrice della prigione, Barbora Bobulova con un occhio solo, sembrano muoversi inutilmente come falena attorno al fuoco alla ricerca di qualcosa che non troveranno.

    CLIP DA LA LUNGA CORSA, DI ANDREA MAGNANI

     

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    Da qui percepiamo il non muoversi di Giacinto come una nascosta saggezza che gli permetterà, in fondo, di correre più veloce di altri, proprio perché non coinvolto in alcun tipo di corsa che ti offre la vita. Quando la mamma se ne va dal carcere, abbandona il figlio a se stesso, ma Giacinto non vuole spostarsi dal carcere dove è nato e finisce quindi per fare il secondino con l’aiuto del suo baffuto superiore. Solo che il suo buon cuore lo porta a fare sciocchezze, che gli faranno perdere i gradi e la libertà.

     

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    Ma di quale libertà stiamo parlando. Per Giacinto non esiste un fuori o un dentro dal carcere, non c’è differenza tra carcerato e secondino. Film assolutamente grazioso, fuori dalle regole dei film in streaming, di quelli da grande festival e di quelli più commerciali, come il suo protagonista gioca sul suo non volersi troppo agitare inutilmente.

     

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    E’ vero che Adriano Tardiolo, che parla un divertente ternano, lo abbiamo già visto in “Lazzaro felice” e non è una novità, ma è comunque una scelta particolare. Come è vero che il film si muove in un mondo alla Kaurismaki, ma non per questo non ha la sua originalità. E tutti gli attori che si muovono attorno Giacinto/Tardiolo mi sembrano molto ben costruiti nelle loro ben riconosciute nevrosi. E la Bobulova, il prete di Gianluca Gobbi e l’ergastolana sovrappeso di Nina Naboka sono fantastici. In sala a primavera.

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