Erling Haaland had no chill against Manchester United ?
(via @ManCity)pic.twitter.com/0zSFOFWZ5i
— B/R Football (@brfootball) October 2, 2022
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A segno in sette partite su otto giocate, 14 gol in questo avvio di Premier League, già una doppietta e tre triplette quest’anno. E anche tre reti nelle prime due partite di Champions League. Sono i numeri — spaventosi — di Erling Haaland, alla prima stagione con la maglia del Manchester City dopo due stagioni in cui ha mostrato al mondo il suo talento con la maglia del Borussia Dortmund.
L’ultima tripletta, oggi pomeriggio, nella valanga con cui il City ha travolto i cugini dello United (6-3 il risultato finale all’Etihad Stadium), nel suo primo derby di Manchester. Una sfida particolarmente sentita dallo stesso Haaland che non ha fatto mai mistero di essere un gran tifoso dei Citizens e, soprattutto, di non vedere l’ora di affrontare e battere lo United.
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Ma c’è una ragione in più perché Haaland senta la sfida tra le due squadre di Manchester con ancora più trasporto. E, per certi versi, anche senso di vendetta. Sì, perché suo padre Alfie Inge, anche lui calciatore e protagonista tra il 2000 e il 2003 con la maglia dei Citizens, fu vittima di un fallaccio di Roy Keane, per oltre un decennio simbolo dei Red Devils, che gli stroncò la carriera e che a sua volta si vendicò in maniera decisamente poco ortodossa di uno screzio con Haaland senior che risaliva addirittura a qualche anno prima.
Tutto cominciò nel 1997, quando Haaland giocava con il Leeds e Keane con il Manchester. Dopo un contrasto di gioco, Keane comincia a rotolarsi a terra. Il norvegese lo accusa di fingere per perdere tempo e va a strattonarlo: in realtà Keane si è fatto male davvero e non tornerà in campo per tutta la stagione.
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Quattro anni più tardi, nel 2001, Keane entra durissimo su Haaland, viene espulso e, prima di uscire dal campo, va a dirne quattro all’avversario che, nel frattempo, si era trasferito al City. Anni dopo, nella sua autobiografia, la confessione dell’irlandese: «Avevo aspettato abbastanza. L’ho colpito dannatamente forte. La palla era là (credo). Beccati questo str... E non provare mai più a ghignarmi in faccia che sto simulando un infortunio».
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Quella sarà stata una delle ultime partite di Haaland giocatore. Circostanza che, più avanti, portò Keane ad aggiustare il tiro in un’intervista: «Mi ha fatto del male l’idea che mi fossi quasi vantato di aver ferito deliberatamente un giocatore, nella speranza di vendere qualche libro in più. Ma volevo colpirlo, mi ha fatto incazzare. Volevo fargli male, non me ne pento. Ma non desideravo infortunarlo così. Era azione, era calcio, e cane mangia cane.
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L’ho affrontato altre volte, perché avrei dovuto aspettare anni? Per anni ho pensato lo colpirò, lo colpirò? No. Era nella mia mente? Certo. Come pensavo di colpire Shearer, Vieira, Batty, Lee. Ho preso a calci molti giocatori e conosco la differenza tra infortunare qualcuno e infortunare qualcuno».
Per Haaland junior la vendetta ha un tenore decisamente diverso. Sportivo, come dovrebbe essere. «Sono nato in Inghilterra — raccontò in un’intervista — e sono stato un tifoso del City per tutta la mia vita». Una motivazione in più per regalare al club di Guardiola, che dopo anni senza un centravanti vero ha investito un vagone di milioni sul norvegese classe 2000, quel successo che più di ogni altro manca al club del principe degli Emirati Arabi Mansur.
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