Daniele Dell'Orco per “Libero quotidiano”
paolo maldini
Era una leggenda già da bambino per via di quel cognome da predestinato. È stato una leggenda da calciatore con 902 presenze con la stessa maglia, quella del Milan. Ora, è in procinto di diventare una leggenda anche da dirigente. Paolo Maldini non è affatto un Re Mida. Lui non trasforma in oro quello che tocca.
Lui lavora. Sodo. E magari quindi sbaglia anche. Come gli accadde oltre 900 giorni fa poco dopo l'inizio del suo corso da direttore tecnico del Diavolo. A dicembre 2019, quando il Milan perse 5-0 contro l'Atalanta, sembrava giunto l'ennesimo momento del repulisti generale.
Invece, Zvone Boban andò via, ma lui no. Restò, decise di blindare un traballante Stefano Pioli (quando tutti volevano il catastrofico Rangnick) e di prendere un 39enne Zlatan Ibrahimovic. Oggi, loro tre, insieme a Ricky Massara, sono gli artefici dello scudetto conquistato dai rossoneri dopo 11 annidi astinenza.
berlusconi galliani
A 54 anni e con già 7 scudetti vinti da calciatore (oltre a 5 Champions, 5 supercoppe italiane, 5 supercoppe europee, 1 Coppa Italia e 3 Mondiali per Club), Maldini ha completato la sua parabola e, da più grande calciatore del Milan di ogni tempo che era, è entrato a far parte del novero delle poche bandiere che abbiano vinto titoli anche dietro la scrivania (come Boniperti, Beckenbauer, Zanetti o Rumenigge).
massara maldini
Così è diventato, in buona sostanza, il più grande Milanista di ogni epoca. Come se non fosse già abbastanza, bisogna ricordare che per parecchio tempo dal Milan, casa sua, aveva avuto una sorta di Daspo.
Tutto per colpa di alcune prese di posizione un po' troppo critiche nei confronti di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani. Giunti al tramonto della loro epopea, vennero beccati da Maldini che riteneva di essere stato ingiustamente messo da parte da entrambi dopo la fine della sua carriera (per non parlare dei tifosi, che lo fischiarono nel giorno dell'addio). In alcune interviste nel 2015, quando il Milan viveva la diarchia degli Ad (Barbara Berlusconi e appunto Galliani) e collezionava disastri, Maldini disse: «Galliani è un grandissimo dirigente, ma probabilmente dove lui è un po' carente è nella zona calcistica, nel decidere e valutare giocatori. Lì dovrebbe essere affiancato».
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VALUTAZIONI SBAGLIATE
Anni dopo, nel 2020, Berlusconi ammise di non credere (e quindi di non aver creduto) che Maldini potesse essere un leader in giacca e cravatta: «È difficile per un giocatore trasformarsi in qualcuno che deve prendersi cura degli altri, c'è sempre una sorta di individualismo difficile da superare».
Invece, anche con le scelte più impopolari e potenzialmente dannose, ha dimostrato di avere ben chiaro il bene del gruppo. Chi altri, infatti, avrebbe avuto il coraggio di lasciar andare a zero Gigio Donnarumma e Hakan Calhanoglu in un colpo solo? Chi avrebbe rischiato i pomodori addosso in caso di fallimento di questa stagione avendo tenuto lo stesso pugno di ferro anche con Frank Kessié?
daniel paolo cesare maldini
Lui. Lui e Massara, ben consapevoli del fatto che la squadra, lo spogliatoio e la società tutta di alcune criticità non hanno bisogno, e che i calciatori, per quanto forti, possono essere sostituiti adeguatamente se si fanno andare le idee.
paolo maldini
Sono partiti da operazioni lungimiranti inestimabili come la rivalutazione di Theo Hernandez epurato dal Real Madrid, hanno creduto fino in fondo a Rafael Leao nonostante la sua evanescenza nei primi mesi (blindandolo con una clausola da 150 milioni), hanno approfittato a loro volta di occasioni low cost come Olivier Giroud, e hanno messo sulla torta una ciliegina di nome Mike Maignan. Se è vero che, nel possibile passaggio a RedBird Capital, la dirigenza rossonera verrà confermata in blocco, uno dei motivi principali che renderanno l'investimento sicuro sarà da ricercare nella sua presenza: quella di Paolo Maldini, il custode del milanismo.
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