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    LA VENEZIA DEI GIUSTI - I CRITICI USCITI DALLA PROIEZIONE DELL’OSCURO FILM IRANIANO “SHAB, DAKELI, DIVAR” (“OLTRE IL MURO”), OPERA TERZA SCRITTA E DIRETTA DA VAHID JALILVAND, RIVELAVANO CANDIDAMENTE DI NON AVERCI CAPITO MOLTO NÉ DELLA TRAMA NÉ DEI SUOI SIGNIFICATI POLITICI - LA SITUAZIONE INIZIALE PROCEDE SU UN PIANO CHE NON RIUSCIAMO A CAPIRE SE È PRESENTE O PASSATO - INUTILMENTE COMPLICATO, UN PO’ FUMOSO, IL FILM NON HA TROVATO UN PUBBLICO IN GRADO DI SFORZARSI PIÙ DI TANTO PER COMPRENDERE IL RACCONTO DISTORTO DEL REGISTA. SPERIAMO CHE I GIURATI CI CAPISCANO DI PIÙ… - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia 

     

    Ormai stremati dai troppi film visti, malgrado gli applausi finali che ormai premiano qualsiasi film (si esagera davvero), i critici usciti dalla proiezione dell’oscuro film iraniano, “Shab, Dakeli, Divar” (“Oltre il muro”), opera terza scritta e diretta da Vahid Jalilvand, rivelavano candidamente di non averci capito molto Né della trama né dei suoi significati politici.

     

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    Una sorta di prigioniero, Navid Mohammadzadeh, già vincitore come miglior attore della sezione Orizzonti 2017 col precedente film dello stesso regista, “No Date, No Signature”, o forse abitante di una casa alquanto spoglia che, oltre a essere praticamente cieco, cerca di uccidersi con un sacchetto di plastica in testa, viene interrotto in questa simpatica operazione dal portiere e dalla polizia che cerca una donna che si è rifugiata nel suo palazzo. L’ha vista? No. E’ cieco. La donna invece, Dayana Habibi, si è nascosta proprio a casa sua, in fuga dopo una retata della polizia che aveva fermato lei e altri scioperanti e chiusa su un furgone che si è cappottato.

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    A questo punto parte una interminabile situazione di sogno/metafora/realtà tra l’uomo chiuso in casa e la donna in fuga, mentre arrivano lettere da sotto la porta di una donna che seguita a ringraziarlo per quello che ha fatto. Ma le situazioni, i dialoghi e i flash back, ammesso che siano reali flashback, tendono a ripetersi mentre le riprese di una telecamera di sorveglianza ci mostrano che l’uomo è del tutto solo in quella che sembra niente altro che una prigione.

     

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    Ma la situazione iniziale procede su un piano che non riusciamo a capire se è un presente o un passato, come si delinea con sempre maggior nitidezza il flashback che vede la donna in fuga. Inutilmente complicato, un po’ fumoso, il film non ha trovato un pubblico in grado di sforzarsi più di tanto per comprendere il racconto distorto del regista. Speriamo che i giurati ci capiscano di più.

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