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    LA VENEZIA DEI GIUSTI - LA CHIAVE DI LETTURA DI “LEOPARDI IL POETA DELL’INFINITO”, DI SERGIO RUBINI, È TUTTA NELL’INTRECCIO TRA LA CONTESSA FANNY TARGIONI TOZZETTI, IL GIÀ MALATO LEOPARDI E IL SUO AMICO DEL CUORE, ANTONIO RANIERI - GRAZIE A QUESTA SCELTA, IL FILM SALE DI INTENSITÀ E DI INTERESSE. RUBINI SCEGLIE ANCHE DI NON DIPINGERE LEOPARDI COME UN FREAK, EVITA IL MOMENTO DELLA CREAZIONE POETICA, TRAPPOLA INFERNALE PER I BIOPIC, E RIESCE A DARCI 4 ORE DI GRANDE SPETTACOLO… - VIDEO


     
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    leopardi il poeta dell’infinito leopardi il poeta dell’infinito

    Marco Giusti per Dagospia

     

    La chiave di lettura del Leopardi di Sergio Rubini, “Leopardi Il poeta dell’infinito”, presentato oggi fuori concorso, serie di 4 ore che vedremo al più presto su Rai Uno, è tutta nell’intreccio, decisamente melo, e che occupa quasi interamente le ultime due ore, che si forma tra la bella Contessa Fanny Targioni Tozzetti, cioè Giusy Buscemi, il già malato Leopardi, Leonardo Maltese, e il suo aitante amico del cuore, Antonio Ranieri, interpretato da Cristiano Caccamo.

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    Leopardi ama disperatamente la contessa Fanny, che ama invece Ranieri. Ma Ranieri ama troppo Leopardi per dargli un dolore e rivelargli che ha una storia con Fanny. Non sa che leopardi, con la complicità della sorella di Ranieri, ha da tempo preso il suo posto in un complesso intrigo epistolare a suo nome con Fanny. Stabilendo così un rapporto amoroso sia con la donna che ama sia con l’amico che in qualche modo aiuta.

     

    La sua morte alla fine rivelerà sia a Fanny che a Ranieri la trama epistolare e questo non potrà che cambierà il rapporto tra i due amanti. Perché Fanny si era innamorata non solo del corpo di Ranieri, ma anche della sua scrittura. Sergio Rubini, con la complicità dei suoi sceneggiatori, Angelo Pasquini e Carla Cavalluzzi, dopo “I fratelli De Filippo”, che più che scontrarsi con il film di Martone sulla famiglia Scarpetta-De Filippo, “Qui rido io”, lo completava, mette in scena un altro solido biopic per la Rai su un personaggio, Giacomo Leopardi, trattato qualche anno fa ancora da Martone in “Il giovane favoloso”.

     

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    Ma aver puntato gran parte del pur lungo racconto sulla trama amorosa che coinvolge i tre personaggi principali, e averla orchestrata così bene, grazie anche a una precisa direzione degli attori, per non parlare del livello tecnico delle forze coinvolte, il direttore della fotografia Fabio Cianchetti, lo scenografo Francesco Frigeri, il costumista Maurizio MIllenotti, il montaggio di Giogiò Franchini, ne fa qualcosa di ben diverso e più interessante dal medaglione da vecchia ficton della Rai. Anche perché, grazie a questa scelta narrativa, il film nella seconda parte sale di intensità e di interesse.

     

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    E tutta la pur importante parte storica e politica, gli scontri col padre, Alessio Boni, con la madre bigotta, Valentina Cervi, l’amicizia con Pietro Giordani, un esplosivo Fausto Russo Alesi,che domina le prime due ore di racconto, passa in secondo piano. Perché l’incastro sentimentale e l’amore che i tre personaggi hanno l’uno per l’altro diventa il cuore della storia e del poeta.

     

    Rubini sceglie anche di non dipingere Leopardi come un freak, è solo un ragazzo sofferente e malaticcio massacrato dal padre che lo ha chiuso a Recanati. Evita accuratamente il momento della creazione poetica, trappola infernale per questo tipo di biopic. E, con un budget, penso, limitato, da fiction Rai, riesce a darci quattro ore di grande spettacolo dove si sentono sia la passione per il tema trattato sia la lunga preparazione storica.

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