Marco Giusti per Dagospia
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“Non possiamo non far niente”. La visione di “Ainda estou aqui”, film politico e grande ritratto della borghesia illuminata di Rio e San Paolo di Walter Salles, che torna al cinema dopo una pausa di ben dodici anni e, significativamente, dopo il terribile governo fascista di Bolsonaro, ha fatto piangere gran parte dei critici che lo hanno trattato come qualcosa che davvero mancava a questa Mostra del Cinema.
Vuoi vedere che proprio questa edizione, che doveva segnare l’arrivo della destra al cuore della cultura del paese, stia diventando la più impegnata degli ultimi anni? Non a caso il pubblico in sala ha salutato come possibile vincitrice della Coppa Volpi, in barba alle rivali Nicole Kidman-Angelina Jolie, la strepitosa Fernanda Torres, nel ruolo della madre coraggio Eunice Paiva, mamma di cinque figli e moglie che non si arrende nella ricerca della verità di quel che era capitato al marito, l’ingegnere Rubens Paiva, che nel Natale del 1970 venne rapito dalla polizia segreta e dato per disperso per 25 anni quando era stato barbaramente ucciso solo venti giorni dopo il suo arresto.
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Confesso che non era facile non commuoversi quando alla fine del film, a cinquant’anni dalla dittatura brasiliana, nel ruolo di una Eunice ormai vecchia e malata di Alzheimer, compare il mito del cinema brasiliano, Fernanda Montenegro, star di “A falecida” e “Non portano lo smoking” di Leon Hirszman (Leone d’Argento a Venezia nel 1981 grazie a Bernardo Bertolucci), di “Centra do Brasil” di Salles e vera madre, nella vita, proprio di Fernanda Torres. Cosa aveva fatto di così terribile l’ingegner Paiva, ricco signore di cultura borghese con bellissima casa sul mare a Rio? Aveva cercato di far qualcosa per aiutare chi si opponeva alla dittatura. E per questo erano stati arrestati lui, la moglie, perfino una delle figlie.
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Con la differenza che lui non solo non tornerà mai, ma la polizia negherà anche di averlo arrestato. Far qualcosa in questo caso non significava entrare nella lotta armata, ma passare lettere e messaggi alle famiglie degli esiliati. Anche se meno criminali delle repressioni in Argentina e in Cile, anche in Brasile ci furono torture, omicidi e violenze insopportabili. E un’intera classe di intellettuali finì in Europa, tra Londra, Parigi e Roma. Ora.
Non è che il cinema di Walter Salles sia in genere molto amato né dai vecchi fan del Cinema Novo, troppo ricca la famiglia Moreira Salles, troppo facili i temi di solito trattati, né dai registi della stessa generazione, che lo vedono come cinema per signore di sinistra, ma devo riconoscere che tutta la prima parte del film, con la descrizione della famiglia Paiva, le cinque figlie, la cameriera, le cugine, i rapporti fra di loro e con gli amici, è uno spettacolo di altissima classe che Salles non ci aveva mai dato.
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Ogni personaggio, ogni bambino ha la sua personalità e quando la storia si stringe sulla madre e il dramma della scomparsa del marito, e lì esplode la grandezza di Feranda Torres, siamo già così dentro la famiglia che il regista raccoglie facilmente tutte le trame che ha messo in scena e lo spettatore, alleluja, capisce tutto. E la ricostruzione del Brasile del 1970, della sua strepitosa musica, tra Os Mutantes, Caetano, Gilberto Gil, Erasmo Carlos, è travolgente, complice la colonna sonora coltissima di Warren Ellis.
Vedrete che, complice anche la presenza in giuria di Kleber Mendonòa Filho, con un presidente come Isabelle Huppert, “Ainfa estou aqui” entrerà facilmente nella rosa dei possibili vincitori della Mostra. In sala lo distribuirà la Bim.