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    “ZELENSKY SI È COMPORTATO COME CHIARA FERRAGNI QUANDO INVITÒ I FOLLOWER A SOSTENERE IL MARITO A SANREMO” - “LA VERITÀ” DISINTEGRA LA VITTORIA DEI KALUSH ORCHESTRA ALL’EUROVISION E PRENDE PER I FONDELLI LA RISPOSTA OCCIDENTALE ALLA RUSSIA”: “L'EUROVISION È LA RISPOSTA ALLA PARATA MOSCOVITA DEL GIORNO DELLA VITTORIA. SOLO CHE QUI SI ESIBISCONO PAILLETTES, LUSTRINI, RIDICOLI E STEREOTIPATI BACI GAY, E UN PO' DI TETTE E CULI PER GRADIRE, COME SE LA TANTO DECANTATA LIBERTÀ EUROPEA FOSSE TUTTA LÌ, NEL BARACCONE…” - VIDEO


     
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    Francesco Borgonovo per “La Verità”

     

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    C'è chi rischia la vita sul campo, o nelle viscere di una acciaieria di Mariupol. E c'è chi rischia la squalifica da un festival musicale per aver gridato: «Aiutate il popolo ucraino, aiutate Mariupol!».

     

    Il nuovo fronte della guerra è ormai il fronte del palco, e in fondo non stupisce perché le armi più efficaci fornite dall'Europa a Kiev sono quelle della propaganda. Così può accadere che pure l'Eurovision - kermesse musicale dai più considerata ridicola, almeno fino a quando non l'hanno vinta i Maneskin e allora vai con le celebrazioni per la loro carica «draghiana» - divenga occasione per fare cantare alle folle il coro «Forza Ucraina».

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    No, non stupisce, anzi tutto rientra nel grande spettacolo del conflitto immaginario che da quasi tre mesi si combatte qui in Occidente.

     

    Le nostre imprese eroiche consistono nell'acquisto delle magliette con la bandiera azzurra e gialla su Amazon o presso altri rivenditori, magari prodotte da qualche disgraziato sottopagato in qualche sperduto angolo del mondo che ha la sfortuna di essere bombardato e non da Putin, dunque nessuno se lo fila. Il gesto guerriero è quello di Damiano dei Maneskin, mezzo nudo, che grida «Fuck Putin» suscitando l'eccitazione del pubblico, e guadagnandosi l'ennesima patacca da ribelle, come se ci volesse del coraggio a seguire la corrente. Infine, l'Eurovision di Torino col suo patriottismo plastificato.

     

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    Vince, pensa un po', un gruppo ucraino, la Kalush Orchestra, che invoca - anche giustamente - il sostegno delle folle per la propria causa. L'elemento grottesco lo fornisce Volodymyr Zelensky in persona, con un videomessaggio trasmesso via Telegram poco prima dell'esibizione dei suoi compatrioti musicisti.

     

    «A breve nella finale dell'Eurovision, il continente e il mondo intero ascolteranno le parole della nostra lingua. E credo che, alla fine, questa parola sarà "Vittoria!". Europa, vota la Kalush Orchestra», ha scandito il presidente ucraino, al quale - a questo punto - manca soltanto di intervenire in collegamento a sagre della porchetta e feste private.

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    Immancabile t-shirt verde militare, perché deve essere simbolicamente evidente il suo status di belligerante, il nostro si è comportato come fece Chiara Ferragni quando invitò i suoi numerosi follower a sostenere il marito Fedez nel televoto. E in effetti la strategia ha pagato.

     

    «Il nostro coraggio impressiona il mondo, la nostra musica conquista l'Europa!

    Per la terza volta nella sua storia. E credo non per l'ultima volta», ha aggiunto poi Zelensky in un post su Instagram. «Faremo di tutto per accogliere i partecipanti e gli ospiti dell'Eurovision a Mariupol. Libera, tranquilla, restaurata! Grazie per la vittoria della Kalush Orchestra e a tutti quelli che ci hanno votato».

     

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    A stretto giro, ecco arrivare anche il commento di Olena Zelenska, la First lady, che si è complimentata con il fondatore del gruppo vincitore: «Signora Stefania, mamma di Oleh Psiuk, insieme a te siamo orgogliosi di tuo figlio. Insieme a te ci rallegriamo per l'incredibile vittoria della Kalush Orchestra all'Eurovision». E ancora: «Stefania è stata cantata da musicisti provenienti da Polonia, Lettonia e Francia. È stata cantata dai The Rasmus. Ora il mondo intero canterà una canzone su una madre ucraina - in ucraino. Congratulazioni alla Kalush Orchestra e tutti noi per una vittoria così importante».

     

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    Fin qui, tutto bello e sacrosanto. La parte straniante sta in un commento che i nostri media hanno recepito senza un plissé: la vittoria all'Eurovision, per la Zelenska, è «una vittoria per l'Ucraina nella guerra».

     

    Capito? Non una vittoria simbolica che sicuramente può giovare al morale, ma proprio una vittoria nella guerra. E il pubblico grida mentre il sorridente Volodymyr parla di un Eurovision a Mariupol, che attualmente è controllata dai russi. Avete idea dello spargimento di sangue che servirebbe per consentire il concretizzarsi di una simile proposta? Forse no. Anzi, sicuramente no, da queste parti non ce ne rendiamo conto, perché la guerra vera - che macina ossa e sangue e tendini e denti - non la sfioriamo nemmeno.

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    La faremo pagare economicamente fra qualche mese a un po' di poveri cristi delle fasce sociali italiane più basse, ma per il resto la combattiamo con l'immaginazione, convinti che sia roba da Netflix, che prendere parte alla battaglia sia come mettere mi piace su Facebook. Sì, che eroismo ci vuole a votare gli ucraini al festival! Clicchiamo tutti contro il perfido Putin! Pensate, apprendiamo dal Corriere della Sera che c'erano perfino temibili hacker russi pronti a sabotare il televoto! Che rischio abbiamo corso!

     

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    Ci affanniamo da tempo a ripeterlo: quella in corso non è una guerra di civiltà. Ma anche qui, ancora più che in Russia, si sta facendo di tutto per renderla tale. L'Eurovision, in questo quadro, è la risposta occidentale alla parata moscovita del Giorno della Vittoria. Solo che qui si esibiscono paillettes, lustrini, ridicoli e stereotipati baci gay, e un po' di tette e culi per gradire, come se la tanto decantata libertà europea fosse tutta lì, nel baraccone.

     

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    È per questo che dovremmo combattere? Milan Kundera, in un bel testo del 1983, si chiedeva quale fosse la grandezza che l'Europa aveva da opporre al comunismo sovietico dopo il crollo della religione prima e della cultura tradizionale poi. Ecco la risposta: noi offriamo giovani di sessi vari ed eventuali che ripetono slogan come i piccoli pionieri, e ancheggiano esattamente come quelli marciavano.

     

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    A ognuno la sua ideologia, come no. E a noi tocca la fase terminale dell'individualismo, il liberalismo reale, in cui la democrazia è televoto, la comunità è solo folla, l'amor patrio è una bandierina comprata al chiosco, il coraggio è una posa. Gloria all'Ucraina, mille like. L'anno prossimo, Eurovision a Mariupol? Fantastico. Ma che lo organizzi Azov, per carità.

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