Giampiero Mughini per Dagospia
MUGHINI
Caro Dago, che bello l’aver visto il film di Nanni Moretti in una sala cinematografica dove non c’era un solo posto a sedere vuoto e dove il pubblico trepidava assieme ai personaggi di Nanni, alle loro parole, alle loro fobie, ai loro silenzi, ai loro tormenti. Meraviglioso quando il cinema torna ad avere tutte le suggestioni del cinema di un tempo, esattamente com’era all’epoca della “Dolce vita” di Federico Fellini di cui Nanni utilizza alcune scene. Sfido qualcuno a dire di un film italiano dei giorni nostri che abbia il tocco di questo ultimo film di Moretti, le sue vibrazioni più profonde, la sua autoironia talmente spietata.
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Quanto al “se” da cui il film muove, ossia che “se” il Pci del 1956 avesse scelto di dire che i carri armati sovietici che avevano fatto irruzione in Ungheria erano una schifezza, che era una schifezza il comunismo reale instaurato in Unione Sovietica nel 1917 a forza di massacri, in questo caso ne sarebbero stati felici gli uomini e le donne che in Italia avevano puntato tutto sulla loro adesione anima e corpo al Pci, quello è solo il pretesto del racconto. Abbiamo smesso da tempo di credere che la politica dei partiti e l’ideologia che li sorregge siano la cosa più importante di tutte. Certo sia io che Nanni apparteniamo a due successive generazioni che ci avevano creduto a questa boiata, le penultime ad averci creduto.
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Ad aver creduto che la felicità del vivere, dello stare assieme uomini e donne, padri e figli, eterosessuali e non, riposasse per intero o quasi su quello che avevano scritto Marx e Engels due secoli fa. Ma nemmeno per idea, narra e costruisce scena dopo scena Moretti nel suo film. Fosse così facile, fosse così banale. Il fatto è che la vita e il destino di ciascuno di noi - e di ciascuno dei rapporti che contano nella nostra vita - è complesso quanto e più di quello che accadde in Ungheria nel 1956, è appeso a un filo o meglio a mille fili, è talvolta irrisolvibile o comunque non risolvibile a furia di ragionamenti lineari.
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Si consuma, punto e basta, come nel film di Moretti si consuma dopo quarant’anni trascorsi assieme il rapporto tra lui e la protagonista femminile (una mirabile Margherita Buy). Una tale caduta è volgare a volerla spiegare con poche e recise parole, e difatti il Moretti/regista nel film si oppone con forza a scene dove la spiegazione di quel che accade nella vita è affidato a poche e recise parole di uno dei personaggi in campo. Che dobbiamo fare, che dobbiamo dire?, gli dice il personaggio del suo film interpretato da Silvio Orlando, il regista comunista che non sa che pesci pigliare a proposito dei fatti d’Ungheria.
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E Nanni resta in silenzio. Perché le parole lui non le ha, come non ne ha nessuno di noi quando muore un rapporto importante, quando se ne va un amico di quelli che hanno contato. Come parole non ne ho io, a segnalare la ormai lontana rottura del rapporto di amicizia tra me e Nanni. Altro che fare un titolo sui fatti d’Ungheria all’opposto di quelli che fece l’Unità pur diretta da Pietro Ingrao. Al confronto, quello è un gioco da bambini.
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