Marco Demarco per il "Corriere della Sera"
de magistris manfredi
La fascia tricolore va a Manfredi, l'ingegnere di poche parole e delle molteplici relazioni, e a Napoli siamo all'ennesima svolta. La terza nel giro di un decennio. Ci fu quella arancione di de Magistris nel 2011, che mortificò il Pd e mise nell'angolo il centrodestra. Fu detta una involuzione borghese, perché i voti vennero dai quartieri della movida e delle isole pedonali. Seguì quella gialla del 2018, quando alle politiche i Cinquestelle portarono a casa più del 50% dei consensi.
E fu una rivoluzione proletaria, perché la spinta venne da tutta la città, ma di più dalle periferie. Ed ora ecco quella rosso-gialla di Gaetano Manfredi. Il quale non solo ha vinto, anzi stravinto, facendo felici i suoi tre grandi sponsor, e cioè Conte, Letta e De Luca, forse addirittura troppi per sfuggire alla prospettiva dell'eterodirezione. Ma è anche l'unico ad aver azzeccato le previsioni, dando prova di un lucido realismo nella città delle utopie e delle iperboli.
luigi de magistris
Manfredi aveva detto che sarebbe passato al primo turno, e così è stato. Lo sfidante Catello Maresca aveva invece scommesso sul ballottaggio, ma non lo ha visto neanche col cannocchiale, perché ha pasticciato troppo coi partiti del centrodestra, prima negati e poi cercati; e con la magistratura da cui proviene, che ha accusato malamente quando gli ha bocciato quattro delle sue liste.
Mentre Antonio Bassolino, che sperava assai nel recupero degli astenuti, deve prendere atto che quello del non voto si conferma a Napoli più che altrove il partito di maggioranza assoluta. Resta Alessandra Clemente. Da parte sua, nessuna particolare velleità. De Magistris l'aveva spinta nell'arena perché convinto che solo così avrebbe potuto dare fastidio a Manfredi e impedire quel «mesto ritorno all'ancien régime» che tanto temeva. Ma hai voglia di consolarti aggrappandoti all'originario spirito ribelle, quando il voto spazza il tuo decennio con tanta forza d'urto.
GAETANO MANFREDI ENRICO LETTA GIUSEPPE CONTE NAPOLI
I numeri dicono infatti che proprio nella Napoli di de Magistris, travolta dai debiti, con un quarto degli asili nido di una omologa città europea e una spesa sociale pro capite pari a un terzo della media nazionale, l'elettorato era arrivato al limite della sopportazione. Proprio non ne poteva più, come si è visto, di un populismo barricadero poco o per nulla risolutore. Non si spiega altrimenti la vittoria netta dell'ex rettore e ministro candidato da Pd e più ancora dai Cinquestelle ( «è un amico, gli sono legato, l'ho nominato ministro», ha detto, quasi dando di gomito, Conte) e l'ultimo posto andato invece alla giovane assessora che avrebbe dovuto tener viva la fiamma rivoluzionaria. La rivoluzione, guarda un po' il paradosso, l'ha fatta invece proprio il mesto Manfredi.
GAETANO MANFREDI E GIUSEPPE CONTE
Ma come definirla? Se non borghese, se non proletaria, rischia di diventare quella dei nerd, dei cool, dei techie, cioè degli aggiornati, dei professori giramondo, degli studenti delle scienze dure e dei tecnici superqualificati che snobbano il dibattito pubblico (come Manfredi, appunto). Insomma, di un'élite. Perché ciò che non può sfuggire è che il nuovo sindaco di Napoli è stato eletto da poco più di un cittadino su quattro. Cioè dal sessanta per cento del 47,19% dei votanti. Ma Manfredi sa far di conto. Questo forse lo aiuterà.
bassolino manfredi GAETANO MANFREDI