Federico Rampini per “la Repubblica”
TWITTER CHIEDE AI SUOI UTENTI VIP DI NON USARE INSTAGRAM
Suona profetico il giudizio severo di Umberto Eco su Twitter (e altri social media): “Danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Quelle parole pronunciate due mesi fa, ora le condivide perfino Wall Street. Le azioni di Twitter sono precipitate sotto i 30 dollari, molto meno di quanto fu quotata al suo primo collocamento in Borsa il 7 novembre 2013 (al termine di quella seduta il titolo valeva 44 dollari).
Dietro la disaffezione degli investitori, e i continui terremoti ai vertici del social media, c’è una crisi esistenziale. Se Twitter ha perso il 45 per cento del suo valore negli ultimi quattro mesi, è per i seri dubbi che incombono sul suo futuro. Dopo avere inventato una nuova forma di espressione iper-sintetica — i “cinguettii” fatti di soli 140 caratteri che vennero definiti “gli sms di Internet” — ora Twitter è sinonimo di delusione, promesse mancate, perfino disgusto e indignazione.
A nove anni dalla nascita ha soltanto un quinto degli utenti di Facebook, che rimane il social media di riferimento, quello con cui tutti i concorrenti devono confrontarsi. I maligni sostengono che di Twitter ormai si parlerebbe come di un ex-fenomeno, se non fosse che tra i suoi utenti ancora fedeli ci sono legioni di giornalisti. Con la caduta in Borsa si infittiscono le voci di una scalata imminente.
L’indiziato numero uno è Google, che ha i mezzi per divorare Twitter in un boccone, e potrebbe tentare di rilanciarlo nella concorrenza fra i social. Ma i giudizi su Twitter sono da più parti impietosi quanto quello di Eco. Il Financial Times lo ha battezzato «la start-up che non sa crescere». Il più sferzante è proprio di Mark Zuckerberg. Il fondatore e numero uno di Facebook coniò questa feroce descrizione di Twitter, ormai scolpita nella pietra: «È come se il camion dei pagliacci del circo fosse caduto dentro una miniera d’oro».
prima pagina di twitter
Insomma, l’intuizione dietro i famosi cinguettìi di 140 caratteri sarebbe stata davvero un colpo di fortuna, puramente casuale, senza nessuna strategia dietro? Perfino il fondatore di Twitter, Jack Dorsey, costretto a tornare alla guida dell’azienda dopo aver defenestrato a giugno il chief executive Dick Consolo, sembra dare ragione ai suoi detrattori. Dorsey ha ammesso in questi giorni che Twitter è «alla ricerca di una vocazione».
Non sa bene cosa farà da grande, insomma. Social media? Chatroom collettiva? Oppure, come sembra confermato dall’evoluzione recente, finirà per limitarsi ad essere uno strumento di marketing per eventi e personaggi famosi, celebrity di varia natura? I numeri della crisi sono di dominio pubblico. Quando avviò le pratiche per il collocamento in Borsa, nell’ottobre 2013 Twitter aveva raggiunto quota 218 milioni di utenti, e questi ultimi generavano mediamente mezzo miliardo ditweet o messaggi- cinguettìi al giorno.
BIZ STONE - TWITTER
Da allora la base degli utenti “attivi” si è ampliata ufficialmente fino a 302 milioni. Ma il numero di messaggi rimane fermo, sempre 500 milioni al giorno. Che cosa vuole dire? Che cresce il numero degli utilizzatori solo occasionali, distratti, tiepidi. In parallelo aumentano gli indirizzi inattivi, ex-utenti che hanno smesso di frequentare questo social media.
Il dito nella piaga lo aveva messo proprio il chief executive dimissionario a giugno, Costolo. Prima di andarsene, con i dipendenti aveva denunciato il proprio fallimento su un terreno delicato: le aggressioni via Twitter. Perché più ancora di altri social media, Twitter è diventato uno sfogatoio per insulti, offese, calunnie.
schwarzenegger su Twitter
Con un profluvio di ostilità razziste e sessiste, particolarmente virulente quando i bersagli sono donne o minoranze etniche. A questo malcostume dilagante si aggiunge la critica tradizionale (alla Umberto Eco) verso il cinguettìo: una forma di comunicazione limitata a 140 caratteri è il trionfo della superficialità, della banalità, dell’effimero.
Questo non è un difetto esclusivo di Twitter, anche altri social media sono diventati dei generatori di distrazione permanente, fabbriche di “rumore di fondo”. Ma Twitter per sua natura è la forma estrema di un linguaggio sincopato, ridotto a interiezioni.
Paga anche delle aspettative esagerate, Twitter: all’epoca delle primavere arabe, incautamente qualcuno definì quelle agitazioni «le rivoluzioni via Twitter». Si sa come andarono a finire, al Cairo e altrove. Non certo per colpa di Twitter. Ma quel social media divenne un simbolo di “feticismo tecnologico”, l’irreale pretesa che un mezzo di comunicazione sia di per sé portatore di valori libertari e progressisti.
DEMI MOORE SU TWITTER
Quando il fondatore Dorsey ammette che bisogna ancora cercare una vocazione, la chiave sta nella fortuna di alcuni concorrenti più modesti. Facebook con appena due anni di vita in più e già un miliardo e mezzo di utenti attivi, è ovviamente un paragone inaccessibile.
Twitter semmai si deve confrontare con Whatsapp, Instagram e Snapchat. Tre app che messe insieme superano di molto il miliardo di utenti. Tre storie diverse ma accomunate dalla vocazione precisa e limitata: messaggerie che trasmettono sia le parole, sia le foto o i video. Twitter prometteva di cambiare il mondo democratizzando la comunicazione («una piattaforma mediatica dove chiunque può parlare con chiunque su basi paritarie»), ed è diventato ricettacolo di livore, invidia, odio.
Gli altri si propongono solo di occupare il nostro tempo libero, facilitandoci lo scambio di immagini con gli amici. Dorsey rimane affezionato alle ambizioni delle origini, nella nuova gara lanciata tra i dipendenti e gli utenti per definire il ruolo di Twitter lui ha proposto lo slogan “the world live ” cioè il mondo in diretta. Il più cattivo dei contro-slogan recita: “Un inferno che divora il nostro tempo”.
Ma dietro le dispute filosofiche c’è una realtà molto prosaica. Tutti i social media sono in concorrenza per spartirsi la stessa torta: pubblicità, marketing, messaggi promozionali mirati, vendita a scopi commerciali delle informazioni sui nostri gusti, le nostre frequentazioni, le nostre attività. È una torta che cresce, ma non all’infinito. Anche perché, paradossalmente, questa gara tra i socialgiganti si sta svolgendo, almeno in Occidente, in una congiuntura dove i consumi non crescono in modo esuberante.
IL PRIMO SPOT DI TWITTER
E storicamente gli investimenti in pubblicità e marketing sono stati abbastanza ancorati al trend delle spese di consumo.Perciò la competizione tra i social media non può che lasciare sul campo una dose di morti e feriti, di perdenti oltre che di vincitori. Per ora Twitter ha buona probabilità di rimanere nel secondo elenco, andando a raggiungere altri nomi che furono gloriosi in Rete, per qualche stagione: da Aol a Yahoo.
L’economia digitale è quanto più si avvicina all’idea che ebbe l’economista austriaco Joseph Schumpeter negli anni Trenta: il capitalismo come “distruzione creatrice”.
Se tra i distrutti finirà anche l’inventore dei pensieri da 140 caratteri, probabilmente saremo tutti d’accordo con Eco: non è una gran perdita per la civiltà umana.