Paolo Ricci Bitti per www.ilmessaggero.it
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Non esistevano, non dovevano esistere, non c’erano prove dell’esistenza di quelle quattro piccole “banconote” da una, due, cinque e dieci corone austriache la cui conoscenza avrebbe potuto cambiare la Storia dell’Italia, alla finestra nei mesi d’esordio della Prima guerra mondiale.
Invece quei quattro biglietti con sovrastampa e marca fiscale (insomma, banconote), stampati nella massima segretezza dal Governo nel 1915 a Torino, erano adesso schierati sulla scrivania di Gerardo Vendemia, trentenne casertano, esperto mondiale di cartamoneta che non ne ha trovato tracce nei cataloghi e nei registri ministeriali. Esemplari ignoti e unici.
ESEMPLARI UNICI
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Davanti ai suoi occhi spalancati per quel “colpo”, che nella vita di un collezionista può anche non capitare mai e che costringerà all’integrazione dei testi di numismatica, cominciava un vertiginoso viaggio nel tempo aperto da mille domande: che cosa sarebbe accaduto se quelle ignote “banconote d’occupazione”, in quel frenetico aprile-maggio 1915, fossero state sventolate in Parlamento da Giolitti, leader dei Neutralisti? Come avrebbe giustificato il governo Salandra quelle “banconote” che rivelavano la clamorosa intenzione di invadere i territori di Trento e Trieste dominati dagli allora alleati austro-ungarici?
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Quattro “banconote” in doppia valuta, corone austriache e lire italiane (18 corone o 18 lire in tutto) per cambiare il corso della Storia italiana.
Il 26 aprile 1915, mentre il furibondo confronto politico pende sempre più a favore degli Interventisti, il governo, tenendo all’oscuro il Parlamento, firmò il Trattato di Londra con Gran Bretagna, Francia e Russia. Sul piatto Trento e Trieste, addio alla Triplice alleanza con l’Austria-Ungheria, addio alla neutralità e ai neutralisti giolittiani e cattolici: si andava alla guerra, ma gli italiani ancora non lo sapevano.
Segretissimo era quell’accordo e segreta doveva essere a quel punto l’affrettata stampa di quella cartamoneta in corone che l’Italia avrebbe diffuso nel Trentino e nel Friuli Venezia Giulia una volta scacciati gli ex alleati austro-ungarici. “Banconote d’occupazione”, prassi comune per le nazioni che allargano con la forza i confini. Vendemia, titolare del sito cartamoneta.com, mostra con orgoglio i biglietti dai colori tenui realizzati con carta comune dalle Officine governative di Torino e non da uno stabilimento della Banca d’Italia per garantire maggiore riservatezza: si usano biglietti già in corso di stampa, modificati con timbrature e marche fiscali per la doppia valuta.
LA MATTANZA
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Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra e ben presto svanisce il sogno di un conflitto breve, sostituito dalla mattanza nelle trincee.
E quella serie segreta di quattro “banconote”? Per 102 anni non se n’è saputo nulla. Non ne erano mai stati trovati esemplari o riferimenti nei registri. Il massimo per un collezionista. È formidabile trovare qualcosa di raro, ma di cui è nota l’esistenza, figuriamoci quando ci si imbatte in qualcosa la cui realtà è ignota.
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Il massimo sarebbe stato anche per un cronista ritrovarsi fra le mani, magari grazie a una “talpa”, magari un tipografo torinese neutralista, quei biglietti in quel “maggio radioso”: l’articolo sulle “banconote d’occupazione” avrebbe rivelato in anticipo la scelta interventista del Governo, forse avrebbe svelato all’opinione pubblica, e agli austro-ungarici, il patto di Londra. Se non a impedire l’entrata in guerra, la notizia di quelle quattro banconote avrebbe potuto ritardarla.
«C’è voluto parecchio tempo – racconta Vendemia, ingegnere – per completare le verifiche, per mettere a confronto cataloghi e registri. Poi la conclusione da brividi: questi biglietti fior di stampa (il massimo in fatto di conservazione) sono unici e vanno persino oltre il grado supremo della rarità, ovvero quella sigla “U” appunto per gli esemplari unici. Il governo Salandra, non c’è che dire, voleva agire in segreto e c’è riuscito ben oltre il suo mandato».
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Ma in euro quanto valgono quelle quattro banconote? «Mancano precedenti, ma non mi stupirei che in Italia la serie toccasse quota 50mila euro, quotazione di rilievo anche per i mercati internazionali».
Mistero per mistero, come ne è venuto in possesso? «Diciamo che sono stato contattato dall’erede di un funzionario di banca. Però qualche piccolo segreto, almeno per ora, me lo lasci».
FIOR DI STAMPA
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Per dare la caccia ai tesori, Vendemia raggiunge spesso l’Inghilterra e la Francia, esamina collezioni. «E intanto si studia la Storia, la Politica e l’Economia. Ogni volta che si tiene fra le dita un biglietto raro ci si commuove viaggiando nel tempo e sulla carta geografica. A chi non è nativo digitale basta sfiorare le banconote delle vecchie lire per ripensare all’infanzia, oppure si resta senza fiato di fronte a banconote di artisti come l’incisore Trento Cionini. Roberto Mori, già direttore centrale per la Circolazione monetaria in Banca d’Italia, ha scritto che la moneta ha tanto da farsi perdonare. Ma al tempo stesso la moneta e la cartamoneta hanno tanto da raccontare».
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E mentre parla Vendemia mostra le diecimila lire “lenzuolo” del dopoguerra, le piccole “am lire” diffuse dall’esercito americano che risaliva l’Italia dal 1943 al 1945, le mille lire che si sognava di “avere una volta al mese”, le irraggiungibili banconote da 500 mila lire di Raffaello che ci hanno portato fino all’Euro. Un fruscìo di banconote che non ha nulla di venale.
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