Estratto dell’articolo di Gianluca Di Feo per “la Repubblica”
VOLODYMYR ZELENSKY JOE BIDEN
Le cluster bomb, ipocritamente definite con l’acronimo Dpicm che indica le “munizioni a doppio uso”, sono l’ultima risorsa per cercare di rinvigorire la controffensiva ucraina.
Oltre un mese di combattimenti non hanno spostato in modo significativo la linea del fronte e non ci sono segni di logoramento delle forze di Mosca: i russi continuano a rispondere agli attacchi con determinazione.
Molti analisti collegano questi risultati limitati alla debolezza dell’artiglieria di Kiev, che ha pochi proiettili e non riesce ad avere ragione delle difese. I tecnici del Cremlino hanno costruito postazioni molto efficaci, trasformando in fortezze i tratti di bosco che dividono la pianura un tempo coltivata a grano. […]
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Le manovre dei generali di Zelensky dovevano individuare i punti deboli dello schieramento russo ma finora non ne hanno trovati. […] E neppure le teste di ponte gettate al di là del fiume Dnepr […] hanno migliorato la situazione, visto che i raid dell’aviazione finora sono riusciti a impedire che venissero trasformate in una minaccia per i russi.
Un fallimento dell’offensiva sarebbe disastroso, non solo dal punto di vista militare ma anche da quello politico: permetterebbe a Putin di ottenere il tempo per puntellare le falle nel suo sistema di potere, […] mentre le sue industrie stanno lavorando a pieno ritmo per sostenere i reparti al fronte.
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[…] Il vero problema […] resta la carenza di colpi per l’artiglieria pesante. Gli alleati stanno cercando quelli per i cannoni d’origine sovietica ovunque, dal Pakistan alla Libia: sono arrivati persino proiettili cinesi prodotti nel 1988 e acquistati dall’Iran, probabilmente sequestrati dagli americani sulle navi dei Guardiani della Rivoluzione dirette in Yemen o in Libano.
Nei magazzini occidentali le scorte di proiettili da 155 millimetri sono sotto il livello minimo previsto per la sicurezza nazionale e la produzione fatica a crescere: in tutta Europa se ne confezionano circa 50 mila l’anno. Ed ecco che l’unico modo per sostenere rapidamente la spinta ucraina è attingere alle riserve statunitensi di “cluster”, con ogive che sganciano una pioggia di granate.
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Nel 2007 si stimava che l’Us Army avesse accumulato 730 milioni di queste submunizioni, destinate all’impiego con cannoni, razzi e missili: ordigni proibiti dai trattati internazionali che Washington, Mosca e Kiev non hanno mai ratificato.
Tra pochi giorni, quindi, le batterie della controffensiva potranno aumentare il numero di tiri. E molti analisti credono che i grappoli di granate saranno particolarmente efficaci nel distruggere i “boschi-caposaldo”: ogni proiettile lancia tra 40 e 60 bombe di varia potenza in un raggio che va da 200 a 400 metri. Molte di queste mini-testate inoltre riescono a penetrare le blindature dei cingolati e dei semoventi. I manuali lo definiscono “fuoco di saturazione”: in pratica, sui fanti russi si scaraventerà un inferno di esplosioni a cui è difficile sopravvivere fisicamente e resistere psicologicamente.
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Basterà per scardinare la barriera dell’esercito di Mosca? Finora i generali del Cremlino sono riusciti a reagire a qualsiasi innovazione e in quanto a cluster bomb hanno un’esperienza antica: sono stati i primi a usarle pure nell’invasione, tirando migliaia di razzi soprattutto nell’assedio di Karkhiv.
Una cosa è certa: queste sub-munizioni mineranno il futuro dei territori. Nei conflitti del passato recente - ad esempio l’attacco israeliano in Libano nel 2006 - circa un quinto sono rimaste inesplose per difetti tecnici: trappole seminate nei campi. Il Pentagono adesso si è affrettato a precisare che consegnerà a Kiev solo modelli moderni, con un margine di difetti inferiore al tre per cento. Gli ucraini non sembrano preoccuparsene: già 180 mila chilometri quadrati del Paese sono coperti di ordigni.
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