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    LE FERITE APERTE DEL BATACLAN - È INIZIATO A PARIGI IL MAXI PROCESSO AL TERRORE: TRA GLI IMPUTATI C’È SALAH ABDESLAM, IL KAMIKAZE DEI COMMANDO DELL’ISIS SOPRAVVISSUTO A QUEL 13 NOVEMBRE 2015, CHE AI GIUDICI HA SUBITO DETTO: “ALLAH È L’UNICO DIO” - ALCUNI MISTERI NON SONO MAI STATI CHIARITI: COME MAI NON AZIONÒ LA CINTURA ESPLOSIVA? E PERCHÉ FECE QUELLO STRANO VIAGGIO IN ITALIA? - LA MAMMA DI VALERIA SOLESIN, UNICA VITTIMA ITALIANA: “GUARDERÒ NEGLI OCCHI I KILLER. NON SIAMO STATI LASCIATI SOLI, PERÒ...”


     
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    1 - PARIGI, MAXIPROCESSO, ABDESLAM: “ALLAH È L'UNICO DIO”

    (ANSA) ”Allah è l'unico dio": queste le prime parole di Salah Abdeslam, il franco-marocchino unico sopravvissuto fra i kamikaze dei commando terroristici del 13 novembre 2015, rivolte ai giudici del tribunale di Parigi dove si è appena aperto il maxiprocesso per le stragi jihadiste.

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    Abdeslam ha parlato prima che il presidente del tribunale lo interrogasse per chiedergli, come da prassi, la sua identità. "Ci tengo, innanzitutto - ha detto il franco-marocchino - a testimoniare che Allah è l'unico dio e che Maometto è il suo messaggero”.

     

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    Il presidente della Corte, Jean-Louis Périès, ha tagliato corto a queste dichiarazioni, replicando semplicemente ma seccamente: "Questo lo vedremo dopo". In seguito, Abdeslam ha confermato la sua identità, rifiutando però di declinare le generalità dei genitori: "I nomi di mio padre e di mia madre - ha detto - non hanno nulla a che vedere qui”.

     

    Infine, alla domanda sulla sua professione - rivolta a tutti gli imputati - Salah Abdeslam ha risposto di aver "abbandonato la professione per diventare un combattente dello Stato Islamico”.

     

    2 - PARIGI, MAXI-PROCESSO AL TERRORE

    Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera

     

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    È un processo storico, il più grande che la Francia abbia conosciuto per un affare criminale, quello che si apre oggi a Parigi, nel vecchio Palazzo di Giustizia dell'Ile de la Cité. I venti imputati sono responsabili, in gradi diversi, degli attentati del 13 novembre 2015 che fecero 130 morti e circa 500 feriti a Parigi e a Saint-Denis, nell'azione coordinata dell'Isis tra lo Stade de France, i tavolini all'aperto dell'Est della capitale, e il Bataclan dove quella sera suonava il gruppo americano Eagles of Death Metal.

     

    CARCERE ABDESLAM SALAH CARCERE ABDESLAM SALAH

    Nonostante quasi sei anni di indagini alcuni punti restano oscuri. Salah Abdeslam è l'unico superstite del commando di terroristi islamici, sarà presente in tribunale e su di lui si concentra buona parte dell'attenzione.

     

    Perché quella sera non ha azionato la cintura esplosiva? Si è trattato di un difetto dell'ordigno, o è lui che ha rinunciato alla missione suicida preferendo scappare in Belgio? Resta ancora inspiegato poi perché il 31 luglio 2015 Salah Abdeslam, accompagnato dal suo migliore amico Ahmed Dahmani, è andato da Bruxelles a Bari, in Italia, a bordo di un'auto presa a noleggio e si è imbarcato per Patrasso in Grecia, dove è rimasto solo due giorni, prima di fare ritorno subito in Belgio.

     

    ARRESTO DI ABDESLAM SALAH ARRESTO DI ABDESLAM SALAH

    Cinquemila chilometri in pochi giorni. Ci sono poi le ipotesi di attentati sfumati all'ultimo momento all'aeroporto di Roissy, a Parigi, e a quello di Schipol, ad Amsterdam. Alcune risposte potrebbero arrivare da Salah Abdeslam, che però finora non ha mai rotto il silenzio osservato fin dall'arresto a Bruxelles, nel marzo 2016.

     

    Estradato in Francia il mese successivo, Abdeslam è incarcerato nella prigione di Fleury-Mérogis, poco lontano da Parigi. Il suo comportamento è leggermente mutato: dopo il mutismo assoluto dei primi tre anni, ora dedica lunghe ora alla recitazione di preghiere islamiche.

     

    Forse un messaggio lanciato all'esterno, perché l'imputato sa di essere registrato dalle telecamere 24 ore su 24. Di lui si sa che riceve visite frequenti da madre, sorella e zia, mentre padre e fratello sono meno assidui.

     

    la strage del bataclan la strage del bataclan

    Le sue condizioni psichiche hanno destato preoccupazione quando sembrava ossessionato dalla pulizia della cella, ma viene ritenuto comunque in grado di sostenere il processo. In carcere, Abdeslam ha rifiutato la vaccinazione contro il Covid. Al di là dell'aspetto strettamente legato all'indagine, il processo sarà l'occasione per ripercorrere e magari metabolizzare l'evento più tragico che Parigi abbia conosciuto nel dopoguerra.

     

    Dopo i primi giorni dedicati alle questioni procedurali, si passerà alle testimonianze dei superstiti, dei famigliari delle vittime e anche dei leader che quella sera ebbero la responsabilità di guidare la Francia sotto attacco: il presidente François Hollande, il premier Manuel Valls e il ministro dell'Interno, Cazeneuve. Le sentenze (molti rischiano l'ergastolo) sono attese per la fine di aprile 2022.

     

    2 - «MIA FIGLIA UCCISA AL BATACLAN. DELLE CONDANNE NON MI INTERESSA, GUARDERÒ NEGLI OCCHI QUEI KILLER»

    Nicola Munaro per “Il Messaggero

     

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    Valeria Solesin era arrivata a Parigi alcuni anni prima. Era partita da Venezia per studiare alla Sorbona e completare il dottorato all'Istituto di Demografia sulle tematiche di genere e l'importanza dell'occupazione femminile. Valeria morirà al Bataclan il 13 novembre 2015, unica vittima italiana dell'attentato marchiato Isis al teatro dove gli Eagles of Death Metal stavano suonanndo.

     

    Quella notte apriva all'Europa la porta dell'inferno. Quella notte si incardinerà oggi nel processo che si aprirà a Parigi, al Palazzo di Giustizia, sull'Ile-de-la-Cité, all'interno della sala Grand Procès, allestita in un anno e mezzo per ospitare un processo che sarà un simbolo della lotta al terrorismo e che si chiuderà con la sentenza in programma tra il 24 e il 25 maggio: otto mesi di udienze serrate, dal lunedì al venerdì.

     

    I GENITORI DI VALERIA SOLESIN I GENITORI DI VALERIA SOLESIN

    Luciana Milani non ci sarà. Lei, la mamma di Valeria, è rimasta a Venezia: «Ora non ne vale la pena - racconta - sono udienze tecniche, parteciperò ad alcune delle prossime udienze».

     

    Che processo sarà?

    «Penso che sarà un processo miliare e sono felice di come la Francia lo stia trattando, di come stia informando noi parti civile: è un fatto sostanziale e non solo di rispetto verso le vittime e i parenti».

     

    Cosa si aspetta dal dibattimento?

    «Di vedere svolgersi un procedimento di giustizia e acclaramento della verità, mi interessa entrare nei meccanismi, capire tante cose. Capire come gli imputati si comporteranno, che atteggiamento avranno, delle condanne mi importa meno. Sono invece sicura che il processo darà spazio alle vittime e, una volta concluso, permetterà il mantenimento e lo stabilirsi di una memoria delle vittime del 13 novembre 2015».

     

    Testimonierà?

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    «Di questo non voglio ancora parlare».

     

    Quando parteciperà alle udienze si troverà a pochi passi da alcuni degli autori di quella strage, potrà guardarli negli occhi...

    «Potrei, sì, ma sono anche poco interessata, diciamo che sono persone di cui ho il massimo disprezzo, non più di questo: mi sono piuttosto indifferenti. Non mi fanno paura».

     

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    Cos'è stata, a quasi sei anni di distanza, quella notte?

    «È stato un attacco al modo di vivere occidentale, le vittime erano persone giovani, e non solo, che portavano avanti la loro vita, lavoravano e si divertivano. Persone integrate nella società. È stato un attacco all'essere cittadini, alla polis, alla comunità. Ma penso che il processo lascerà questo aspetto sullo sfondo per radicarsi sui fatti e su come sia stato possibile succedesse».

     

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    Valeria non è stata dimenticata...

    «Da Venezia un sentimento della città per Valeria c'è sempre, la ricorda la sua scuola, il Benedetti, ci sono borse di studio in tutta Italia. Il Covid ha reso tutto più complicato ma questo processo sarà un momento per ricordare queste 130 vittime».

     

    Di quella notte cosa ricorda?

    «Non ne voglio parlare».

     

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    Come sono state le vostre vite dopo il 13 novembre 2015?

    «Sia io che mio figlio e mio marito abbiamo cercato di essere quelli di prima, speriamo di esserci riusciti».

     

    Vi siete sentiti da soli?

    «No, nessuno ci ha lasciato soli, dalla città alle istituzioni. Poi, però, ci sono i momenti in cui sei da solo».

     

    IL FIDANZATO E IL PADRE DI VALERIA SOLESIN IL FIDANZATO E IL PADRE DI VALERIA SOLESIN

    Cos'è rimasto di Valeria?

    «Staremo a vedere nel processo: ci sono la vittima e i sopravvissuti, sarà un momento di confronto e di riflessione. Sono situazioni che aprono ferite...».

     

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