Nadia Ferrigo per la Stampa
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«Le mie ex compagne di squadra si sentono aggredite. Non vogliono nemmeno più essere chiamate Farfalle, ma non ne capisco il motivo. Io non ho mai detto nulla contro di loro, ho raccontato la mia storia. Che conoscono bene». Nina Corradini, 19 anni, studia a Roma, Scienze della Comunicazione. Sei stata la prima a incrinare l'immagine perfetta delle Farfalle, ritrovandoti poi bersaglio di chi le sostiene.
Sui social, ma non solo. Come stai?
«Parlare mi ha liberato. Studio, sono tranquilla. Leggo messaggi, commenti e interviste con distacco. So di aver detto solo la verità. E se la difesa è la pedicure...».
In un'intervista al Corriere della Sera, la direttrice tecnica Maccarani ha detto di essere sempre a disposizione delle sue ragazze, sia per prenotare una pedicure che per dare un abbraccio. Non ti suona?
«Entrando in Nazionale pensavo sarei arrivata nella classica bolla di cristallo, seguita in tutto . Ma nessuno sa che cosa accade dentro l'Accademia. A Fabriano, nella mia società, mi trovavo bene sia dal punto di vista sportivo sia umano. A Desio non c'era nessun rapporto umano, in più c'erano gli insulti. Vorrei che Maccarani capisse che l'abbraccio mancato non è il problema».
Cosa ti ha fatto più male?
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«Dalle ragazze della squadra con cui ero più legata mi aspettavo almeno un messaggio. Non in pubblico, perché capisco che non possono, ma in privato. Ci speravo».
Abbiamo visto la foto di gruppo delle Farfalle con il dito medio rivolto all'obbiettivo. Come hai reagito?
«Mi ha fatto male. Anche se ho sempre pensato che a Desio le ragazze fanno quello che gli viene detto. Abbiamo parlato delle allenatrici, non di loro. Dimostrano di essere molto immature. Tante sapevano quello che stava succedendo a me e Anna Basta.
Hanno visto la nostra sofferenza».
Sui social hai ricevuto anche messaggi di sostegno?
«Sul mio profilo Instagram moltissimi. Chi mi segue, mi ha appoggiato. Questo mi ha stupito e in positivo».
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E i cosiddetti «leoni di tastiera»?
«Se mi sposto su Twitter o sui profili delle ragazze della Nazionale, di alcuni genitori, allora gli insulti per me e per le altre ci sono».
Ti fanno restare male?
«Non ci rimugino sopra. O sono persone esterne a questo mondo, che non sanno come funziona, o non vogliono capire e pensano che per stare in Nazionale bisogna essere pronte a tutto».
L'accusa implicita è di essere «debole».
«Anche solo per arrivare in Nazionale bisogna aver lavorato una vita. I sacrifici li ho sempre fatti. Andare via di casa a 12 anni e allenarmi otto ore al giorno non è mai stato un problema. Chi mi insulta o non arriva a capirlo o parla senza pensare. Le parole di queste persone non mi interessano».
A chi ti accusa di aver parlato solo perché non hai fatto le Olimpiadi, che cosa rispondi?
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«Il mio sogno era entrare nelle Farfalle. Me ne sono andata per mia scelta, ero la più piccola. Se fossi rimasta, probabilmente quattro anni dopo sarebbe toccato a me. Nessuna invidia».
Primissimo bilancio, parlarne è stato utile?
«Dopo le nostre testimonianze e tutto quel che è successo, credo che il mondo della ginnastica ritmica sia almeno un pochino migliorato. Meno insulti, meno schiaffi. Nelle pedane credo che ora ci sia molta più gentilezza. Che poi non sia un cambiamento temporaneo, ma duraturo, non dipende da noi, ma dalle scelte che farà chi ha la responsabilità di questo sport».
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