giorgio faletti teo teocoli
1. ANTONIO RICCI: “GIORGIO FALETTI, UN RAGAZZO BUONO”
Comunicato stampa
“Non voglio deluderti, ma questa volta mi sa che non ce la farò ad accendere la luce”, mi aveva telefonato Giorgio, confidandomi che sarebbe dovuto andare in America per curarsi. Per spiegare il suo multiforme talento ero solito ripetere che, se Giorgio si fosse messo in testa di fare il lampadario, si sarebbe appeso al soffitto e, prima o poi, da qualche parte una luce si sarebbe accesa. Oggi è buio. Io ho perso un compagno di chitarre, di notti insonni e di sogni non detti. Tutti abbiamo perso un ragazzo buono.
giorgio faletti sulla ferrari di gilles villeneuve
2. CODICE FALETTI
giorgio faletti sul set di baaria giorgio faletti il guazzabuglio
Stralci di un’intervista di Malcom Pagani a Giorgio Faletti per “L’Espresso” realizzata prima che Faletti partecipasse come ospite al Festival di Mantova del 2011
Ai pescatori che lo salutano con un magro cenno del capo, lo scrittore da dieci milioni di copie piace in maglietta e bermuda. Mentre, finalmente indigeno, ancheggia da un motorino dietro la curva del pomeriggio. Dell'Isola d'Elba, dopo qualche inverno di ambientamento trascorso a inventare romanzi nel vento, Giorgio Faletti è ignorato sovrano. Montecristo è all'orizzonte ma il tesoro è qui, in una casa di pietra all'ombra della vecchia Capoliveri, dove ogni immagine, dai gabbiani ai nipoti che urlano è un'onda transitoria.
Radi capelli incastonano occhi azzurri che, però, non lo consolano: "Raggiunta la statura per guardarmi allo specchio del bagno, ho capito che sulla bellezza non potevo contare". Così si è industriato. Attore, comico, cantante, romanziere, oggi anche pittore, sul crinale dei 61 anni : "Perché della mia intelligenza dubito, ma alla curiosità non ho mai rinunciato".
I quadri, come tutto il resto, hanno un graffio fortunato e personale: "Un mio amico organizzò una mostra di beneficenza. Disegni di Joplin, Frank Zappa, Leonard Cohen e altri esponenti del mondo dello spettacolo italiano. Mi disse che avrebbe voluto ad ogni costo un mio dipinto. Così mi cimentai". Era la prima volta. Non si è fermato. In vetta alle vendite l'ha spinto un'alchimia di cui ancora non si dà conto. Era il 2002. Il titolo dell'esordio letterario, "Io uccido", impennò i fatturati di fiere e autogrill.
Faletti come andò?
"Il primo libro avrebbe dovuto raccontare la storia di un sicario a pagamento. In corso d'opera diventò tutt'altro. Ma se vai a cercare patate e trovi diamanti, in genere, li raccogli. Ammesso che "Io uccido" lo sia".
Il segreto del successo?
"La gente ha olfatto. Smaschera i bluff, le operazioni a tavolino, i volumi creati in laboratorio per trasformarsi in caso editoriale. Io scrivo ciò che sento, mi diverto e lavoro senza avere l'impressione di farlo. Se ci pensa, un vero privilegio".
Come nasce un bestseller?
"I miei hanno visto la luce qui, davanti al mare. Sveglia alle otto, colazione, salvifici ciondolii senza costrutto e poi, via, al computer. È un percorso lungo. Dura almeno sei mesi, ma non mi lamento. Se penso che faccio lo stesso mestiere di Hemingway e Vargas Llosa, mi sento mancare".
Male qualche anno fa si sentì davvero.
"Un ictus. Nei giorni dell'uscita di "Io uccido". Non so se furono più efficaci le cure dei medici o le notizie dalle librerie".
Fu un trionfo di vendite remunerativo.
"I soldi sono un sistema per vivere bene, ma non sono ricco, non ho pretese e non ho mai scelto una direzione artistica in base al denaro. Per certe proposte rifiutate, i miei antenati mi maledicono durante la notte. Con i guadagni ho acquistato una maggiore libertà, ma l'unica cosa che invidio davvero ai miliardari è la velocità negli spostamenti. Se per arrivare su Marte impiego 24 ore, il magnate ne spende sei. E il tempo, purtroppo, non puoi comprarlo".
Dopo la malattia il tempo è più importante?
"Per un istante ho creduto che il tempo fosse finito. La malattia ha aspetti truffaldini e nessuno ti viene ad avvertire. Arriva e basta. Uno ti batte sulla spalla: "È ora di andare. Subito". Rischiare l'esistenza mi ha cambiato la prospettiva. Ho imparato a non rimandare. Faccio solo quello che mi convince. Nei limiti di una ragionevole umanità, credo di essere coerente".
giorgio faletti il guazzabuglio giorgio faletti con jane butler
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Ascendenze familiari?
"Sono cresciuto in una casa modesta, ma uno nasce dove indica il destino. Cinquanta chilometri in là e avrei potuto chiamarmi Agnelli, invece sono, senza rimpianti, figlio di Carlo Faletti. Mio padre era ambulante, mia madre sarta. Vivevano in periferia, quando raggiungevano il centro dicevano seri: "Andiamo ad Asti"".
I suoi la sostennero?
"Non avevano gli strumenti. Papà era meticoloso. Sognava di entrare in banca come fattorino, ma a causa di uno zio disertore nella Grande Guerra, un'onta incancellabile, non ce la fece mai. Mamma almeno ebbe la ventura di seguire il mio percorso. Ho voluto bene a entrambi, di quell'affetto che non ha bisogno di dimostrazioni".
Infanzia difficile?
"Felice. Colorata. Fantasiosa. Se uscivo dalla porta principale avevo il viale, sul retro si spalancava il Far West. La pianura, il ponte, la ferrovia, la libertà. La sera, in cortile, i grandi tornati dal lavoro giocavano con i più piccoli a Pallapugno. Nessuno aveva niente e ogni cosa era pulita, vivace, meravigliosamente semplice".
Imparò a leggere allora?
"Mio nonno aveva un magazzino. Come molti altri, nell'Italia del dopoguerra, si arrangiava. Comprava, rivendeva, ammassava senza requie i materiali più vari. Un giorno scaricò alcuni scatoloni di libri. La mia educazione alla lettura sbocciò nella sua cantina. Ho letto dei classici a un'età in cui di solito si leggono i fumetti. Ricordo "Per chi suona la campana" e un capolavoro dell'umorismo, "Tre uomini in barca". Per capire certi meccanismi comici, la lezione di Jerome è stata fondamentale".
Poi si laureò.
"In Giurisprudenza, per far felice papà. Tuttavia, più che il pezzo di carta potè il mio primo mentore, il dottor Villavecchia. Mi assoldò per una rivisitazione di Giulietta e Romeo. Andò benissimo: "Potresti persino fare l'attore". Gli diedi retta".
Risalì fino alla tv e approdò al "Drive In" di Antonio Ricci. Per alcuni, il principale detonante dell'odierno abisso culturale.
"Un'assoluta stronzata, se permette la licenza. Una polemica agghiacciante. Cleopatra si comportò come sappiamo e a quell'epoca, del "Drive In" non c'era traccia. Il nostro programma interpretò un cambiamento di costume, ma le innocenti ragazze seminude altro non erano che le nipoti delle gemelle Kessler. "Drive In" ribaltò gli schemi, ma se proprio dobbiamo indulgere all'oscurantismo, trovo peggiore la degenerazione del linguaggio. Ora, per dare cittadinanza a un testo di cabaret, c'è bisogno di almeno un vaffanculo. È deludente".
Non apprezza le parolacce?
"Al contrario. Fanno parte del linguaggio di tutti i giorni. Ma prima del turpiloquio vengono la creatività e lo spessore del personaggio. Se mi calavo nelle vesti della guardia giurata pugliese Catozzo Vito, un vaffanculo ci poteva anche stare. Ma nel linguaggio di Suor Daliso, no. Omologarsi al peggio o rubare le battute a un rivale era per chi veniva dalla vecchia scuola un lampante manifesto di incapacità".
Dei nuovi comici le piace qualcuno?
"Checco Zalone è un genio. E per sensibilità, tic e maschera è l'Alberto Sordi di oggi. Mi sono stancato dei comici che vogliono propinarmi un messaggio. Una risata è fine e messaggio insieme. Adoro Zalone perché ha il coraggio di sembrare stupido".
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giorgio faletti con il gruppo repellente mauro di francesco boldi abatantuono giorgio faletti con beppe grillo in sardegna
Pubblicherebbe un libro con Mondadori?
"Berlusconi come uomo di partito è una cosa, Mondadori è un'altra. Che si sia arrivati al punto per cui pubblicare con un dato editore riveste una valenza politica è spaventoso. Con Dalai mi trovo benissimo ma ora, in via eccezionale, pubblicherò un breve romanzo
con Einaudi. È di Berlusconi, ma il libro l'ho scritto nel mio studio, non in una cabina elettorale".
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Se le danno del pessimo scrittore?
"Mi rimane la libertà di pensare che esistano anche pessimi critici".
È un trapasso comune a molti colleghi?
"Dan Brown è stato vituperato, però con "Il codice da Vinci" ha venduto 40 milioni di copie. Ho il vago sospetto che abbia ragione lui".
Con il successo è piovuta anche l'invidia?
"La cosa non mi turba. Convincere tutti è statisticamente impossibile. Non ci è riuscito neanche Gesù Cristo".
giorgio faletti con il gruppo repellente mauro di francesco boldi abatantuono giorgio faletti in concerto 4 giorgio faletti sul set di baaria giorgio faletti 2 giorgio faletti 4 giorgio faletti 3 giorgio faletti in concerto 2 giorgio faletti colletti bianchi giorgio faletti in concerto 1 Giorgio Faletti giorgio faletti in concerto 3 Giorgio Faletti faletti vitocatozzo lap003 giorgio faletti giorgio faletti al derby di milano Enzo Jannacci al Derby tra i suoi “figli” tra cui Cochi Ponzoni, Abatantuono, Boldi e Faletti giorgio faletti libro giorgio faletti 1 giorgio faletti a teatro giorgio faletti al derby di milano giorgio faletti a teatro da ragazzo giorgio faletti in concerto 5 giorgio faletti con il gruppo repellente mauro di francesco boldi abatantuono e iannacci giorgio faletti con il gruppo repellente mauro di francesco boldi abatantuono