Fulvio Fiano per corriere.it
bidognetti
«La minaccia e l’intimidazione» rivolte in modo plateale contro Roberto Saviano e Rosaria Capacchione furono «espressione di una precisa strategia ideata» dai boss.
A scriverlo sono i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Roma nelle motivazioni della sentenza con la quale il 24 maggio scorso hanno condannato a 1 anno e mezzo di carcere il boss del clan camorristico dei casalesi Francesco Bidognetti e a un anno e due mesi il suo avvocato, Michele Santonastaso.
In queste parole dei giudici viene certificato come Bidognetti — per «agevolare ed alimentare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan» e per «rafforzarne il potere» — scelse deliberatamente di minacciare in aula Saviano e Capacchione durante l’appello del maxi processo Spartacus, nel quale era alla sbarra tutta l’élite criminale della camorra casertana.
Al momento della lettura delle minacce — il 13 marzo 2008 — Bidognetti, capo di una delle quattro famiglie nel cartello camorrista, era recluso in regime di carcere duro. Il suo avvocato lesse in aula un documento che sembrò subito diverso nel suo significato rispetto al senso letterale delle parole: una richiesta di ricusazione della Corte che si sarebbe fatta influenzare dal libro «Gomorra» di Roberto Saviano e dagli articoli della giornalista del «Mattino», Rosaria Capacchione.
FRANCESCO BIDOGNETTI
Saviano (oggi editorialista del Corriere della Sera ) viveva già sotto scorta e nei giorni successivi la protezione fu assegnata anche a Capacchione.
«Ci sono voluti tredici anni per concludere questo processo molto delicato, che ha raccontato come un clan ha cercato di intimidire, isolare e fermare il racconto del suo potere», aveva dichiarato Saviano dopo la sentenza. «Sono contento anche per Rosaria Capacchione, sono stati anni feroci sotto attacco da tanti. È la dimostrazione che i clan non sono invincibili».
capacchione saviano
Come aveva ricordato nella sua memoria l’avvocato Antonio Nobile che assiste Saviano, obbiettivo dell’irrituale documento letto in aula dall’avvocato Santonastaso «erano magistrati, intellettuali e giornalisti, che venivano espressamente individuati quali responsabili della rovina prossima ventura del clan dei Casalesi, coincidente con la conferma in appello delle 5 pesantissime condanne inflitte in primo grado poiché ne mettevano in risalto la dimensione ultraprovinciale, nazionale ed internazionale, circostanza quest’ultima da ritenersi particolarmente invisa ai capi del clan ».
FRANCESCO BIDOGNETTI