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    EXCUSATIO SIMULATA – LE LACRIME DI COCCODRILLO DI MARC E MARK. MARQUEZ GIOCA AL MOTO-SCONTRO E POI ESIBISCE SCUSE FASULLE, ZUCKERBERG FA IL FURBO E SI TRAVESTE DA APOLOGIZER DAVANTI AL CONGRESSO – MA SAREBBE MEGLIO CONTINUARE A FARE GLI STRONZI SENZA CHIEDERE SCUSA AFFATTO


     
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    Gianluca Veneziani per Libero Quotidiano

     

    Il filosofo francese Pascal Bruckner la definirebbe «la tirannia della penitenza».

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    Noi, più profanamente, la potremmo ribattezzare l' abitudine sterile di chiedere scusa.

    Certo, il cospargersi il capo di cenere e presentarsi umilmente a Canossa in segno di contrizione, come fece Enrico IV, è buona creanza che ci hanno insegnato le mamme.

    Ma diventa stucchevole nel momento in cui la scusa è sproporzionata rispetto all' offesa, troppo tardiva o viceversa troppo sbrigativa, in ogni caso utile solo a pulirsi la coscienza, liquidare la vicenda (anche se grave) e non rimediare realmente al danno fatto.

     

    Due recenti episodi, nel mondo dello sport e della comunicazione, confermano questa prassi dell'excusatio come comoda scappatoia; un je m'accuse suggellato da due nomi simili, Marc e Mark, che fanno della Scusa Retorica una sorta di marchio di fabbrica.

     

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    Alcuni giorni fa, durante il Gran Premio di Argentina di MotoGP, il campione del mondo Marc Marquez ha giocato a moto-scontro, speronando il rivale Valentino Rossi e facendolo cadere. A fine gara, il pilota spagnolo si è recato nei box della scuderia di Rossi per chiedere scusa ma se n'è dovuto andare con la coda tra le gambe.

     

    «Non accetto le sue scuse», gli ha fatto sapere il pilota di Tavullia. «Marquez non è sincero: ti viene a chiedere scusa davanti alle telecamere ma la volta dopo fa lo stesso. È recidivo e fa così con tutti».

     

    Due giorni fa è toccato invece a Mark Zuckerberg, fondatore e ad di Facebook, chiedere scusa davanti al Congresso americano per la violazione di 87 milioni di profili del social network, usati per influenzare le elezioni politiche o attingere informazioni private.

     

    «Non abbiamo fatto abbastanza per impedire che questi strumenti venissero utilizzati per fare danni», ha detto Mark, calandosi nel ruolo dell'apologizer, lo scusatore di professione. «È stato un grosso errore. È stato un mio errore, e mi dispiace». Amen. Il Congresso pare avergli dato credito e la Borsa non ha infierito contro il titolo della società di Menlo Park.

     

    EXCUSATIO SIMULATA

    UDIENZA DI ZUCKERBERG AL SENATO UDIENZA DI ZUCKERBERG AL SENATO

    Ma resta il fatto che in entrambi i casi siamo di fronte, se non all' excusatio non petita di cui già parlava San Girolamo, quanto meno a un'excusatio simulata. Cioè a una scusa esibita, e poco autentica, alternativa a quel processo di meditazione, pentimento e riparazione che dovrebbe guidare ogni scelta etica.

     

    Come ci insegnano i filosofi morali e i Padri della Chiesa, bisognerebbe pensare e bene prima di agire, riflettere a lungo dopo aver sbagliato e fare qualcosa di concreto per rimediare. Solo così si evita di cadere in fallo, di perseverare nell' errore e si può compiere vera penitenza.

     

    Per tradurla in pratica, Marquez alla prossima gara - oltre a non ripetere più il suo gesto antisportivo - per redimersi davvero, dovrebbe compensare la colpa, lasciando passare Rossi alla prima curva utile, anche se si trova in testa alla corsa.

     

    Allo stesso modo Zuckerberg, dopo aver fatto mea culpa, dovrebbe dar seguito al suo pentimento, offrendo una quota minima del suo immenso profitto (o piccole azioni di Facebook) a tutte le persone i cui profili sono stati violati, a mo' di risarcimento.

     

    UNA FURBATA

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    Sennò le loro parole restano scuse campate in aria, un mero esercizio, peraltro ipocrita, di autoflagellazione, di masochismo. O addirittura peggio: rischiano di essere una furbata, un escamotage per ottenere vantaggi o quantomeno non subire danni ulteriori, un modo strumentale per cavarsela.

     

    Mi pento così non subisco pene, è la logica. Marquez, grazie alla sua ostentata resipiscenza, potrebbe non essere retrocesso in ultima fila o perlomeno non escluso dalla prossima gara ad Austin.

     

    Zuckerberg, dopo la remissione pubblica dei peccati in quel Confessionale globale chiamato Congresso (tutto ormai è pubblico, sia la colpa che la sua emendazione), non vedrà crollare ulteriormente il suo titolo in Borsa e potrà salvare la sua azienda.

     

    Queste contrizioni hanno lo stesso effetto di chi, come Papi e capi di Stato, invoca perdono per le Crociate o per il colonialismo: sono un pianto sul latte versato, lacrime di coccodrillo. Il passato non si cambia a colpi di penitenza così come il futuro non si costruisce a colpi di buone intenzioni. Le vie dell'inferno sono lastricate di entrambe le cose.

     

    A quel punto, se deve essere solo una strategia ipocrita per trarne beneficio, e un tentativo di aggiungere al danno la beffa, meglio continuare a fare gli stronzi e non chiedere scusa affatto.

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