Alessandro Di Matteo per “la Stampa”
alessandro di battista
Per i più romantici è l' anima incorruttibile del Movimento. I maliziosi dicono che è un furbo, che si sfila e si mette un passo di lato, scommettendo sul malumore di molti militanti per il governo Draghi.
Quello che pare certo è che Alessandro Di Battista non intende abbandonare la politica e lui stesso, nel video su Facebook in cui annuncia la fine di quella che chiama una «storia d' amore», lascia uno spiraglio: «Se poi un domani la mia strada dovesse incrociarsi di nuovo con quella del Movimento, vedremo».
SARAH LAHOUASNIA E ALESSANDRO DI BATTISTA
Parlando con La Stampa, "Dibba" dice chiaramente che continuerà ad occuparsi di politica: «Scriverò, farò le mie cose, prenderò le mie posizioni. Lo farò in maniera più libera di prima, tutto qua». Il "gemello" sempre più diverso di Luigi Di Maio assicura di non avere dubbi: «Sono convinto della scelta che ho fatto, l' ho molto ponderata ed è veramente una scelta serena». Soprattutto, tiene a precisare, una decisione «senza rancori». Certo, c' è un «disaccordo» che non può «essere superato per ragioni di coscienza. Ma non c' ho nessun tipo di rancore nei confronti di nessuno. Anzi, è proprio un bel periodo per me».
di battista
Che lui e Di Maio fossero lo Yin e lo Yang, il bianco e il nero, del Movimento 5 stelle è stato chiaro fin dall' inizio. Era in Parlamento da pochi mesi quando nel settembre 2013 salì sul tetto di Montecitorio per protestare contro il piano di riforma della Costituzione del governo di Enrico Letta. Con lui c' erano altri 11 deputati 5 stelle ma, appunto, non Di Maio.
alessandro di battista
Uno in vestito blu e camicia bianca, subito a studiare da uomo delle istituzioni, l' altro in giro per l' Italia sulla motocicletta, «il Che Guevara di Roma Nord» infierirono i detrattori. Alle elezioni del 2018 il M5S investe su Di Maio come candidato premier, mentre lui a sorpresa non si ricandida e parte zaino in spalla per un viaggio in Centroamerica.
Il resto è cronaca recente.
Di Battista entra nel totoministri del governo "Conte-ter", ma il tentativo finisce come sappiamo. E a Draghi lui dice subito no, senza esitare.
DI BATTISTA
Aspetta i risultati del voto su Rousseau e poi posta su Facebook il suo video: «Zero polemiche», giura. Anche se qualche stoccata la tira: « Non parlerò più a nome del M5S, anche perché l' M5S non parla più a nome mio. Faccio un grande in bocca al lupo ai miei ex colleghi, per questo terzo governo di questa legislatura...». E sempre senza polemica assicura «grandissimo rispetto per il voto degli iscritti, al di là di quello che si può pensare della scrittura del quesito».
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2 - DA EREDE DI GRILLO A NOSTALGICO DEL VAFFA LA PARABOLA DEL FRONTMAN
Concetto Vecchio per “la Repubblica”
E alle nove della sera Dibba aziona il tasto video di Facebook dalla cucina, con alle spalle le posate appese al muro, e celebra il funerale del grillismo del Vaffa. «Non posso andare contro la mia coscienza», dice con la voce incrinata. E siccome tutto in lui è emotività e biografismo, aggiunge: «È stata una bellissima storia d' amore».
DI BATTISTA
Difficile inquadrarlo, perché è stato figlio di questo tempo senza più appigli. Ha personificato la confusione nella quale siamo precipitati, e perciò modernissimo. Per Trump e contro Obama. Ma anche zapatista e cooperante in Sudamerica. Per il governo con la Lega, ma con un passato giovanile di elettore di sinistra. A Cuba ha abbracciato la statua del Che anche se il padre ha il busto di Mussolini in casa. Alleato con i gilet gialli, eppur fiero del suo passato di catechista.
Tutti si tiene, alla rinfusa, perché Dibba in fondo è «un blog fatto persona, un post vivente, un fate girare tutti!», come scrisse una volta l' Espresso.
Diceva frasi che oggi ci fanno un po' ridere: «Sono pronto a morire per l' Italia, dobbiamo risvegliare le coscienze». Ma ci fu un tempo, non tanto lontano, in cui milioni di italiani si spellavano le mani per slogan come questi. E infatti Beppe Grillo stravedeva per lui.
DI BATTISTA
Disse più volte che lo riteneva il suo erede. Un retore di talento, che sbagliava i congiuntivi: «Lei non m' interrompi!»; ma anche questa contraddizione in fondo è contemporaneità. È stato obiettivamente il più efficace sul palchi del Vaffa, il più telegenico nei talk, anche Silvio Berlusconi, che se ne intende, a un certo punto lo corteggiò, e Di Battista pubblicò naturalmente gli sms delle avance su Facebook.
E ora che farà, il capopopolo dei grillini delusi? La verità è che gli sono sempre piaciute troppe cose per essere davvero costante nella sua ambizione, troppo Peter Pan per ambire davvero al potere. Difficile immaginarlo a capo di un partito di arrabbiati, perché vuole fare insieme politica, realizzare doc, scrivere libri, fare il reporter, dormire in tenda alle Galapagos ed essere il migliore papà del mondo.
GRILLO DI BATTISTA
Dibba è stato soprattutto la sua biografia. «Si vede che sono felice? » scriveva su Instagram durante il tour contro il referendum di Renzi nell' estate 2016, quando macinò migliaia di chilometri in moto, e il popolo gli rispondeva «sei il nostro guerrieroooo». Nella stagione dell' antipolitica, («i partiti sono tutti marci!»), era una furia: contro la casta, l' euro, i poteri forti, vedeva ovunque mafia e politica, e dei complotti del mondo comiziava ogni lunedi a casa di un militante di periferia, per mostrare che lui era uno che mangiava la pizza con la gente di Giardinetti, sulla Casilina.
di battista
Scrive nella sua biografia A testa in su: «Quella volta che mi licenziai e acquistai un biglietto di sola andata per Buenos Aires, per quasi due anni viaggiai in autostop per l' America Latina tra la gente qualunque come una persona qualunque, alla ricerca di spremute di umanità».
Qualcuno dirà: Dibba è rimasto fedele alle sue origini di movimentista, di grillino duro e puro. Ma pure Di Maio non è cambiato, ha mantenuto sempre quell' aria da eterno assessore. Infatti Dibba dice, in diretta social, «vogliono sistemizzare il Movimento », proprio mentre Di Maio incitava quel che resta del popolo grillino a votare per il Sì.
ALESSANDRO DI BATTISTA
Nessuno ha mai capito veramente perché sia rimasto fuori dalle elezioni del 2018, rinunciando a una poltrona sicura da ministro degli esteri. Negli ultimi anni ha postato quasi ogni giorno una foto di sé con i figli, Dibba in famiglia, un sfoggio che testimoniava un certo imborghesimento, una lontananza dalle durezze della battaglia politica.
raggi e di battista
Da tempo Grillo aveva preso le distanze dal figlio prediletto. La scorsa estate, quando Dibba accusava i Cinquestelle di essere diventati «come l' Ncd di Alfano», Grillo aveva capito che la rabbia che li aveva portati al 32 per cento non c' era più nella società, mentre Dibba ne aveva nostalgia: «Chi canalizza la rabbia sociale in autunno? », si chiedeva. L' altra sera in assemblea Grillo aveva capito tutto: «Restiamo uniti, ma non possiamo accontentare tutti». Una profezia.
ALESSANDRO DI BATTISTA BECCATO A GUARDARE LA PARTITA A MONTECITORIO
Il video della cucina sancisce però davvero la fine di una storia. A inizio legislatura l' M5S ha fatto parte di un governo che non disdegnava di uscire dall' euro («la moneta unica ci ha distrutto», diceva Dibba), e la finisce dentro un esecutivo europeista, guidato dall' ex presidente della Bce. Il populismo italiano è spirato per le troppe capriole ieri sera nel tinello di casa Di Battista.
3 - L'ETERNO STARE FUORI DI ALE
Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
DI BATTISTA
«Di Battista chi?» Da dove cominciare. Un aiuto arriva dal messaggio di un deputato molto governativo che risponde così alla richiesta di una opinione sull'addio dell'ex enfant prodige del M5S. Poi ci sono i ricordi. Come le indimenticabili lezioni di giornalismo offerte «umilmente e in grandissima simpatia» ai cronisti che lo seguivano ovunque. Siate brevi, cercate le notizie in Italia, che tanto ormai i pezzi lunghi come i reportage dai luoghi esotici non li legge più nessuno.
DI BATTISTA
E si potrebbe andare avanti, con la tiritera del Che Guevara di Roma nord, «le spremute di umanità», con il libro su Bibbiano che stiamo ancora aspettando, con l'indubbia tendenza a piacersi molto. In questi anni è stato spesso rivoltato come un calzino, Alessandro Di Battista, tanto per citare un esergo della cultura giustizialista a lui cara. Spesso è stato preso in giro per le sue uscite di politica estera, dall'ammirazione per la Cina a quella per i Gilet gialli, tutto purché contro L'Europa e in subordine gli Stati Uniti, mai amati sulla scia delle suggestioni paterne. Il fuoco è stato quello amico, o presunto tale.
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Grillo e Dibba indossano la maglietta «Expo Invaders». «Qui sarà un fallimento annunciato», dicono. Poi il futuro Elevato aggiunge che i Cinque stelle «erano come i panda, destinati a stare da soli» e indica il ragazzone romano. «Di Maio è un Casaleggio senza capelli, lui invece è simile a me, sarà il mio erede sul palco». L'ultima cartolina, tra le tante, arriva da Venaus, capitale dei No Tav. Inverno 2015, Di Battista in osteria che dirige i cori contro Silvio Berlusconi. «Beppe dice che se andiamo al governo, lo sbattiamo in galera». Tutti gli altri si sono mossi, eccome. Esercitando una coerenza che gli va riconosciuta, Alessandro Di Battista invece è rimasto fermo. E si è trasformato nell'ultimo panda dei Cinque stelle.
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