Giuseppe Scarpa per “il Messaggero”
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Ha aperto la finestra, è andata sul balcone, poi ha scavalcato il parapetto e si è lanciata nel vuoto. Si è buttata dal terzo piano una studentessa di 17 anni a Roma. Un volo di nove metri. Poi l' impatto. Il 31 gennaio si sperava potesse salvarsi, ma non c' è stato niente da fare. Dopo 10 giorni di agonia, Sara, il nome è di fantasia, è spirata tra le braccia dei medici dell' ospedale Tor Vergata che hanno cercato in tutti i modi di strapparla alla morte. Adesso la polizia del commissariato Casilino, a cui è affidato il caso, sta passando al setaccio i profili social della minorenne. La studentessa era iscritta ad Instagram e a Tik Tok.
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Che avesse partecipato a una challenge? Per ora si tratta di supposizioni, gli investigatori hanno acquisito il tablet e il cellulare della ragazza a caccia di prove. Sara, infatti, non ha lasciato un biglietto di addio. Ne si era confidata con la sorella o con un' amica. Un gesto che ha lasciato sgomenta la direttrice del Ciofs, l' istituto di formazione professionale frequentato dalla giovane: «Non abbiamo rilevato - ha detto agli agenti - nessun segno di disagio, siamo basiti».
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GLI INQUIRENTI La soluzione del caso è affidata al magistrato Eleonora Fini, pubblico ministero esperto in inchieste relative a vicende di violenze, maltrattamenti e istigazioni al suicidio. Per adesso il fascicolo dell' indagine è a modello 45, senza un' ipotesi di reato specifica.
Il sostituto procuratore attende gli esiti sull' analisi dei dati dai dispositivi elettronici della vittima, l' autopsia e una nuova audizione dei genitori. Nella prima, affranti dal dolore, non hanno delineato un quadro completo. Alla sorella era invece stato chiesto se Sara utilizzasse i social. Così aveva risposto «Instagram e Tik Tok». Alla domanda dell' impiego che la 17enne faceva di questi strumenti la ragazza non ha saputo dare informazioni utili.
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Oltre alla famiglia i poliziotti hanno ascoltato anche i compagni di scuola e la dirigente del Ciofs dove Sara era iscritta. La direttrice ha spiegato alla polizia, come le hanno riferito gli stessi insegnanti, che la studentessa non aveva manifestato alcun comportamento anomalo che potesse suggerire un simile epilogo.
LA VICENDA È il 31 gennaio Sara decide di togliersi la vita. Non lo comunica a nessuno. Perlomeno questo è emerso fino ad oggi dall' inchiesta.
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Apre la porta finestra del balcone. Vive con la sorella e i genitori in un palazzo alla periferia est della Capitale, oltre il Gra. Ha già deciso cosa vuole fare. In meno di un secondo mette in pratica un progetto forse meditato da qualche tempo oppure la prova finale di un gioco assurdo.
Se il mostro che l' ha spinta a compiere la più estrema delle azioni era una depressione adolescenziale mai emersa o un folle che l' ha spinta in una sfida sui social è ancora presto per dirlo. Nove metri la inghiottono. Un abisso che la porta via. Quando i genitori vedono in quel corpo, nel cortile del palazzo, la loro figlia, fanno fatica a credere che sia vero.
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Ma è davvero Sara, 17 anni, studentessa con una vita davanti. Dallo stupore padre e madre passano alla disperazione. Poi la speranza. La studentessa non è morta. La loro figlia è in gravi condizioni. Per dieci lunghissimi giorni la famiglia spera in un miracolo. «Sara risvegliati» è il loro auspicio. Le ferite riportate da un volo infinito dal terzo piano di un palazzo sono però insanabili. La studentessa non ce la fa. Muore mercoledì 10 febbraio tra le grida di dolore di chi ha sperato sino all' ultimo che potesse risvegliarsi.
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