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1-“HO FREQUENTATO SERVIZI SEGRETI E MAFIOSI PERCHÉ SONO UN GIORNALISTA”
Lino Jannuzzi per “Il Foglio” - 1 novembre 2006
Ho frequentato i peggiori nemici del generale Giovanni De Lorenzo, e non solo per avere notizie del Sifar e del Piano Solo. I nemici di De Lorenzo, alcuni erano migliori di lui e altri peggiori, le migliori notizie le ho avute dai peggiori, quelli che tramavano contro il generale non perché fossero contro lo spionaggio politico, che facevano anche loro, o perché volessero salvare la Repubblica dal golpe, ma perché volevano prendere il suo posto e volevano togliere di mezzo un concorrente.
Per controllare le notizie che mi davano, trescavo anche con gli amici del generale, il quale andava a colazione alla Casina Valadier con il mio direttore Eugenio Scalfari, e manteneva i contatti con L’Espresso mediante un suo capitano, il suo Pio Pompa, che frequentava la redazione di via Po un giorno sì e uno no, e prendeva il caffè con Carlo Gregoretti.
Mano a mano che l’intrigo diventava sempre più inquietante e interessante, le mie frequentazioni con i nemici e con gli amici del generale diventavano sempre più frequenti e intime, dai bar passavamo ai ristoranti, a pranzo e a cena. Soldi da loro non ne ho presi, e nemmeno me ne offrivano, ma il conto lo pagavano loro.
Via via, non mi limitavo più a chiedere notizie, ma partecipavo. E’ sempre stato partecipando, stringendo amicizia, come si dice, anche con i peggiori, cospiratori o mafiosi che fossero, ma quasi sempre più simpatici dei migliori, che ho appreso le cose più inedite e più interessanti e ho potuto raccontarle ai lettori.
Per queste mie frequentazioni viziose e partecipate mi sono guadagnato la benevolenza e l’amicizia di Leonardo Sciascia, il quale si è sempre divertito più con me e con i miei racconti di malostato e di malavita che con tanti virtuosi moralisti che lo infastidivano con le loro prediche.
Il generale De Lorenzo, dopo aver vinto il processo per diffamazione contro di me e Scalfari, mi mandò dei messaggi e mi venne a trovare a casa per lamentare le persecuzioni in atto contro suo figlio, che era nei carabinieri a cavallo e contro di lui si esercitavano le vendette dei nemici di suo padre.
Andai a protestare da Luigi Gui, che era ministro della Difesa, senza molto successo, e cercai di aiutare per mio conto il figlio del generale, che querelava tutti quelli che parlavano male del padre. Arrivai quasi a rinnegare, testimoniando in tribunale, la mia inchiesta sul Piano Solo, ma i giudici non mi credettero, e quegli stessi giudici che avevano creduto al padre, condannando me e Scalfari, non credettero al figlio e lo condannarono. [...]
Il generale Mino, oltre al resto, voleva presentarmi Licio Gelli, il capo della P2, alla quale era iscritto e voleva che mi iscrivessi anch’io. Fissammo l’appuntamento a cena a casa mia al ritorno dalle vacanze, purtroppo il generale Mino precipitò con l’elicottero durante l’estate e proprio mentre sorvolava il Cilento, dove avevo il mio collegio elettorale, e dove mi aveva promesso una visita. Non so se dopo la cena con Gelli che non si è potuta fare mi sarei iscritto anch’io alla P2, ma non posso escluderlo.
Rividi Gelli più volte dopo la morte di Mino, ma, morto Mino, non mi offrì mai la tessera né mi rivelò mai cose particolarmente interessanti. Ho sempre sospettato che i segreti della P2 fossero delle bufale.
Con la mafia non c’è partita. Morto Sciascia, non è rimasto che Emanuele Macaluso che ne sa e l’ama più di me. E quello che ho saputo e che so di loro non l’ho appreso dalle fregnacce raccontate dai “pentiti”, ma dalle frequentazioni dirette e dalla mia appassionata partecipazione a quel mondo e a quella cultura, anche prima della mediazione di Sciascia.
Luciano Liggio mi mandava dal carcere le sue poesie e i suoi dipinti, ho vissuto due giorni e due notti alla Favarella, la splendida tenuta di Michele Greco il Papa, resa fertile per la produzione del mandarino tardivo dai molti cadaveri che vi sono sotterrati.
Michele Greco mi ha scritto a lungo dal carcere e la moglie, una Ferrara che si credeva parente di Maurizio e di Giuliano, mi ha telefonato a lungo prima di morire. Ho frequentato a lungo Vito Ciancimino, nella sua bella casa di Roma, a due passi da piazza di Spagna, e fino a qualche giorno prima della morte, e ogni tanto mi sento col figlio, da cui i magistrati vogliono i soldi che non sono mai riusciti a sequestrare al padre.
Mi ha scritto fino al giorno prima di morire Cosimo Cirfeta, suicida con una bomboletta di gas fornitagli dall’amministrazione del carcere in cui era ristretto, il boss della Sacra Corona Unita che con il suo pentimento ha mandato in galera tutta la cupola della mafia pugliese (28 ergastoli e centinaia di anni di carcere), ed è stato creduto da decine di giudici e dichiarato attendibile in decine di sentenze, ma è stato imprigionato e processato per calunnia (ma assolto dopo che è morto) quando ha accusato di mentire – e di aver concordato tra loro le accuse – i “pentiti” che accusano Marcello Dell’utri.
Ora mi telefona la sua donna, l’assistente sociale che l’ha visitato in carcere e che si è innamorata di lui, ricambiata, e l’ha aiutato a sopravvivere tutti questi anni, fino al “suicidio”. Ho partecipatoanche con Cirfeta e partecipo con la sua donna. E posso scrivere, quasi in solitudine, quello che scrivo perché ho sempre frequentato e frequento e domando e partecipo con chi sa e vive di persona i “segreti” di cui il giornalista va a caccia. E non ha niente a che fare con la partecipazione esterna alla mafia, o forse è molto di più.
Sarà per questa ragione che continuo ad avere querele, ed ormai ho più di una condanna passata in giudicato. E tuttavia Renato Farina deve essere radiato dall’albo dei giornalisti e io no.
2-ADDIO A LINO JANNUZZI
Giuliano Ferrara per “Il Foglio”
Silvia mi ha detto ieri della polmonite di Lino Jannuzzi, che gli è stata fatale a novantasei anni, oggi e lo ha portato via a lei, a Chantal, a Francesco e alla dolce Mariolina. Ho passato il pomeriggio a ascoltare la sua voce, dodici, quindici anni fa, a Radio Radicale, e ho provato una fortissima emozione.
Parlava del truce delitto giudiziario che fu il processo per l’assassinio di Paolo Borsellino, parlava della grottesca procedura d’accusa sulla trattativa stato-mafia, parlava dell’orrore dello stragismo corleonese e del tentativo in parte riuscito di aggredire e distruggere la classe dirigente italiana e una sfilza di generali e funzionari con imputazioni risibili e temerarie. Una rassegna piena di calore e intuito e fatti delle sue passioni e ossessioni civili.
Ho pensato che in rarissimi casi, e forse quello di Lino è un caso unico, il movimento dell’intelligenza, lo spirito di avventura intellettuale e morale, il rischio della fantasia, il gusto sciasciano della letteratura come civiltà, stendhaliano nello stile e volterriano nell’ispirazione, hanno prodotto un effetto trascinante di verità e una ribellione così forte contro la stupidità.
Lino Jannuzzi era proprio una persona generosa, dava un meglio di sé che non era mai il primeggiare narcisista, era l’ironia, lo spirito caustico, il gusto della memoria, l’interpretazione della storia anche quando la storia andava sferzata e battuta come Machiavelli predicava della Fortuna, e reimmaginata con un talento che non ha eredi. Addio Lino.
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