Francesca Mannocchi per “la Stampa”
HAFTAR DBEIBAH
Il comandante libico Khalifa Haftar è responsabile di crimini di guerra: esecuzioni extragiudiziali e torture. Questo l'esito della sentenza emessa venerdì da un tribunale statunitense contro l'uomo forte dell'Est della Libia. Un giudice federale, nel verdetto in contumacia, ha accolto le richieste di decine di famiglie libiche che tre anni fa hanno accusato Haftar di aver torturato e ucciso i loro parenti e hanno intentato una causa contro di lui ai sensi del Torture Victim Protecion Act del 1991, una legge che consente a cittadini non statunitensi di chiedere un risarcimento a persone che - agendo in veste ufficiale in qualsiasi nazione straniera - hanno commesso torture e abusi.
ABDEL HAMID DBEIBAH RECEP TAYYIP ERDOGAN
Gheddafiano prima e antigheddafiano poi, Haftar è stato una risorsa della Cia, ha ottenuto la cittadinanza americana ed è tornato in Libia dopo la rivoluzione del 2011 per prestare servizio nel governo riconosciuto a livello internazionale che ha tenuto il potere fino al 2014 quando è iniziata la guerra civile, quando lui stesso lanciò l'operazione Dignità e il paese venne diviso in due sfere di influenza.
HAFTAR
Dopo un accordo di cessate il fuoco della fine del 2020 è stato istituito un nuovo governo di unità nazionale che avrebbe dovuto condurre il Paese a elezioni nel dicembre 2021.
La corte statunitense aveva congelato il fascicolo prima delle elezioni per non influenzare il voto, ma le elezioni non si sono tenute e il caso è stato riaperto, nonostante Haftar abbia tentato di invocare l'immunità come presunto capo di stato. Ma ha fallito.
Le accuse a suo carico si riferiscono al 2019.
È l'inizio di aprile del 2019 quando Khalifa Haftar ordina alle sue truppe di muovere verso Tripoli, iniziando una campagna militare che durerà 14 mesi per controllare la capitale libica. I combattimenti si trasformano velocemente in una guerra per procura: da una parte Haftar con l'Esercito Nazionale Libico che fa riferimento a lui supportato da Russia, Emirati Arabi Uniti, Egitto, mercenari ciadiani, sudanesi e naturalmente mercenari russi del gruppo Wagner.
Abdul Hamid Dbeibeh
Dall'altro il governo di Fayez al-Sarraj riconosciuto dalla comunità internazionale e supportato da Turchia e Qatar. È proprio grazie all'alleato turco - che fornisce uomini, droni da combattimento e mezzi - che Sarraj riesce a proteggere e tenere il controllo su Tripoli.
Nel mezzo mesi di guerra civile e abusi, decine di fosse comuni scoperte nella città di Tarhouna controllata da milizie fedeli a Haftar e in cui, a distanza di tre anni, continuano a emergere cadaveri e testimonianze di torture e esecuzioni.
fathi bashagha
La sentenza arriva nell'ennesimo momento molto delicato della vita politica libica e rischia di avere conseguenze sulle ambizioni di Haftar che da anni lotta per imporre il suo potere in Libia e rischia di avere ripercussioni sul supporto internazionale di cui ha goduto finora.
Difficile, infatti, giustificare l'appoggio politico a un criminale di guerra. A complicare le cose il valzer di alleanze degli ultimi mesi, le rivolte di piazza, gli scontri tra milizie e il Paese di nuovo sull'orlo della guerra civile.
scontri a tripoli
IL BALLETTO DELLE ALLEANZE
Dopo la firma del cessate il fuoco nel 2020 la Libia ha vissuto un periodo di relativa stabilità. Nel marzo 2021 un accordo supervisionato dalle Nazioni Unite ha portato al potere l'imprenditore misuratino Abdul Hamid Dbeibah, con il preciso scopo di traghettare il Paese alle elezioni del dicembre 2021, elezioni a cui per mandato aveva accettato di non candidarsi.
khalifa haftar
Le elezioni - come ampiamente previsto - non si sono tenute e sono state rimandate a tempo indeterminato. Impossibile trovare accordi sulle liste, le procedure, i regolamenti. L'annullamento delle elezioni ha aperto una disputa sulla legittimità del governo di Dbeibah. Il suo tempo è formalmente scaduto ma Dbeibah, nonostante gli impegni presi a Ginevra, né si è dimesso né ha intenzione di mollare il potere.
LIBIA - LE FORZE IN CAMPO - AGOSTO 2022
A marzo 2022, tre mesi dopo le mancate elezioni, la Camera dei Rappresentanti nella città orientale di Tobruk - sostenuta da Haftar - ha votato per un governo parallelo presieduto da Fathi Bashaga, ex ministro dell'Interno di Tripoli che gode del supporto di numerosi gruppi armati a Tripoli e ex acerrimo nemico di Haftar. Ma in Libia si sa, le alleanze sono fluide, e pur di cacciare Dbeibah ha vinto la regola aurea delle guerre: il nemico del mio nemico è mio amico.
Così, dopo un giro di visite di Bashaga e dei suoi a Bengasi, il Parlamento dell'Est lo ha riconosciuto nuovo primo ministro, insediando un governo parallelo che ha intimato a Dbeibah di dimettersi. Dbeibah non solo non lo ha fatto, ma quando a maggio Bashaga ha provato a entrare a Tripoli, ha mobilitato le milizie a lui fedeli, dimostrando che quando la tensione sale in Libia, il vero potere torna a essere sempre quello delle armi.
fathi bashagha
Bashaga ha trasferito la sede del suo governo a Sirte, la simbolica città che diede a Gheddafi i natali e la morte e i suoi sostenitori, alleati con l'ex nemico Haftar hanno usato l'altra arma sempre presente nei momenti di crisi: i pozzi petroliferi.
Le milizie fedeli a entrambi hanno parzialmente chiuso gli impianti per fare pressione su Dbeibah e farlo dimettere.
SI SCRIVE GUERRA, SI LEGGE GAS
Non è la prima volta che le milizie mostrano la forza per determinare le scelte politiche.
Non è la prima volta, soprattutto, che lo fa Haftar. Basta guardare alla storia recente. È la fine del 2019, l'Europa e le Nazioni Unite compiono uno dei tanti tentativi di negoziazione, una delle tante conferenze, occasione di sfilate di primi ministri ma destinate a non cambiare nulla sul territorio libico. Nel 2019 tocca a Berlino. Il giorno prima della conferenza in Germania le milizie legate a Haftar bloccano i pozzi nella parte orientale del Paese, i polmoni dell'economia libica. Si fermano Brega, Ras Lanouf, al-Sedra e al-Hariga. Il blocco causa un calo della produzione del Paese da 1,3 milioni di barili al giorno a 500.000 barili al giorno e un deficit di 55 milioni di dollari al giorno.
KHALIFA HAFTAR SI AUTOPROCLAMA LEADER DELLA LIBIA
Il motivo era semplice: allora Haftar controllava la quasi totalità dei pozzi ma non poteva vendere il petrolio, dunque non poteva monetizzare questo controllo, e Tripoli controllava le istituzioni - il NOC, National Oil Corporation, il solo ente che può esportare gas e petrolio e che drena le entrate attraverso la Banca Centrale. Il comma 22 della Libia.
Per avere pieni poteri (leggasi proventi delle risorse energetiche) Haftar voleva e vuole conquistare Tripoli, solo così può capitalizzare il controllo di gas e petrolio.
abdul hamid mohammed dbeibah 2
E ogni volta che prova a ottenere il potere e fallisce, le milizie a lui legate bloccano i pozzi e dunque le entrate di un paese in cui la rendita degli idrocarburi costituisce il 90% delle entrate statali.
L'ACCORDO DBEIBAH-HAFTAR
Il gas e il petrolio sono sempre sul tavolo e vengono sempre usati come ago della bilancia, strumento di pressione, fungono da collante per vecchie e nuove alleanze. È così anche per l'ennesimo valzer di alleanze. Molti dei principali terminal petroliferi del Paese erano stati chiusi da aprile, quando la coalizione del generale Khalifa Haftar aveva bloccato la produzione di petrolio nella campagna per sostituire Dbeibah con Bashaga.
FATHI BASHAGHA
Oggi la situazione è capovolta. La fine del blocco e la ripresa delle esportazioni di petrolio, sponsorizzate da alcuni attori internazionali, è arrivata dopo un nuovo accordo tra Dbeibah e Haftar. Il 12 luglio, inaspettatamente, Dbeibah ha rimosso il presidente della National Oil Corporation (NOC), Mustafa Sanalla, sostituendolo con Farhat Bengdara, un banchiere dell'era gheddafiana che vanta stretti legami con Haftar, e altrettanto stretti legami con Abu Dhabi.
Secondo i media libici la decisione è stata preceduta da una serie di incontri tra i figli di Haftar e parenti stretti di Dbeibah. Oggetto dell'accordo sarebbe la rinuncia di Haftar ad appoggiare Bashaga in cambio della nomina di Farhat Bengdara e la promessa di alcuni ministeri chiave nel governo nazionale guidato da Dbeibah.
HAFTAR
Dbeibah resterebbe così al potere e Haftar potrebbe controllare e influenzare la più importante istituzione del paese e monetizzare il controllo sui pozzi e sulle raffinerie.
Il nuovo capo del NOC, Bengdara, appena insediato ha annunciato la revoca delle restrizioni di forza maggiore in tutti i giacimenti petroliferi e i terminali di esportazione del Paese, ponendo di fatto fine a un blocco di tre mesi che era costato al governo libico più di 3 miliardi di dollari di mancate entrate.
Di certo la riapertura dei pozzi è una notizia positiva per la popolazione libica che dipende interamente dalle entrate petrolifere. Il punto è capire quali conseguenze porterà questo accordo. Le violente proteste di queste settimane nelle principali città libiche nonché gli scontri tra le milizie di Tripoli e Misurata che hanno provocato 16 morti, ricordano che la situazione nel Paese sia di nuovo tesa a livelli d'allarme e che lo sia in un momento di estrema fragilità delle Nazioni Unite, che hanno dimostrato di fallire ogni tentativo negoziale e della presenza sempre più forte di attori come Turchia, Russia e Emirati su tutti, mentre l'Europa sconta una mancanza di visione e di analisi ormai da anni.
scontri a tripoli
LA PRESENZA DI MOSCA, GLI ERRORI EUROPEI
La Russia è storicamente alleata di Haftar. E ai russi che si deve la presenza della brigata Wagner in Cirenaica, gruppo che continua ad avere il controllo della base aerea di Jufra nel Sud della Libia. La presenza del gruppo armato Wagner è chiaro segnale che il Cremlino non voglia abbandonare la sua influenza sul Nordafrica.
Tutto questo avviene mentre l'Europa sconta anni di timidezza e di cecità. L'Europa, infatti, in questi anni ha perso terreno in Libia perché ha progressivamente ristretto l'angolo di osservazione sul Paese nordafricano al tema delle politiche migratorie. Intanto lo scenario si modificava irreversibilmente, con attori nuovi e con attori presenti da tempo sul terreno libico e da tempo sottovalutati.
haftar
Lo scenario che si apre di fronte oggi sembra delineare due scenari entrambi preoccupanti. Il primo è che Bashaga e le milizie a lui fedeli (ormai traditi da Haftar) decidano di combattere per entrare a Tripoli innescando di fatto una guerra civile di cui gli scontri armati di queste settimane sembrano essere stati preludio. Il secondo è che l'accordo tra Haftar e Dbeibah regga e che si consolidi un governo allargato con ministri dell'Est e dell'Ovest, magari con l'appoggio della Comunità internazionale che in assenza del gas russo ha bisogno delle risorse energetiche libiche. Il punto è, come sempre in Libia: a quale prezzo?
FATHI BASHAGHA
Il prezzo è accettare il controllo di Haftar sulle entrate di gas e petrolio, accettare la presenza russa anche in Tripolitania e dunque anche nella parte del Paese in cui storicamente agiscono le milizie legate al traffico di uomini. Significa, da ultimo, legittimare come interlocutore politico un comandante che tre giorni fa è stato è stato ritenuto responsabile di crimini di guerra da un tribunale statunitense. La domanda che pesa come un macigno oggi è: l'Europa è pronta a pagare questo prezzo per una fittizia stabilità libica e la garanzia di avere il suo gas?