Federico Cravero per la Repubblica
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Consegnare pizze, noodles e gelati a domicilio non è un vero lavoro. Girare in bicicletta con uno zaino termico fucsia prendendo ordini da un' app sullo smartphone resta uno degli esempi più evidenti dei " lavoretti" della gig economy e, secondo il tribunale del lavoro di Torino, non può essere considerato alla stregua di un rapporto di lavoro subordinato.
La sentenza pronunciata ieri dal giudice Marco Buzano spegne con poche parole - «La corte respinge la domanda e compensa le spese» - la speranza di un' intera generazione, che guardava con ansia alla prima causa in Italia intentata da sei fattorini contro Foodora, la multinazionale tedesca del food delivery.
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Dopo gli scioperi, nonostante continuassero a dare la loro disponibilità sulla piattaforma che gestisce turni e consegne, i sei non erano più stati chiamati a lavorare. « Siamo stati licenziati perché il nostro era un vero lavoro subordinato », hanno provato a rivendicare, chiedendo anche 20mila euro di risarcimento ciascuno e cento euro per ogni giorno lavorato senza le adeguate misure di sicurezza sul lavoro.
« Non hanno fatto nemmeno una visita medica per vedere che non ci fossero problemi di salute » , denunciano gli avvocati Sergio Bonetto e Giulia Druetta, che con argomentazioni suggestive hanno descritto le condizioni « di sfruttamento » dei rider, « pagati la metà di un voucher, senza le minime tutele di sicurezza sul lavoro, controllati nei loro spostamenti attraverso il gps del cellulare, discriminati se protestavano » .
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Hanno evidenziato come, attraverso l' applicazione, le biciclette venissero rintracciate sempre e ovunque, seguite nei percorsi fatti verso i ristoranti e i clienti, controllate nella velocità media al punto da redigere le classifiche delle migliori performance. E nelle battute finali di un' udienza pubblica alla quale hanno partecipato in solidarietà decine di rider, hanno anche portato coloriti esempi di come quello delle consegne a domicilio fosse un impiego inquadrato dentro schemi gerarchici precisi, senza l' autonomia che ci si potrebbe aspettare da un rapporto di collaborazione.
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I legali hanno letto stralci della chat aziendale in cui, senza troppi convenevoli, si chiedeva a un fattorino: «Non riesci a consegnare con il copertone bucato? » e a un altro che diceva di stare male si rispondeva: «Ho bisogno di tutti stasera » . Ma da quelle stesse chat gli avvocati di Foodora Paolo Tosi, Ornella Girgenti e Giovanni Realmonte hanno estrapolato i passaggi in cui ai fattorini era concesso di assentarsi senza preavviso, di cambiare turno senza preoccuparsi di chi dovesse sostituirli. Come, appunto, ci si aspetta da un lavoratore autonomo, anche se, ammettono, «stiamo parlando di un mondo completamente nuovo ».
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«Leggeremo le motivazioni e faremo appello - commenta l' avvocato Bonetto - Ma certamente questo pronunciamento porta indietro di ottant' anni i diritti dei lavoratori, ammettendo che si possa lavorare a cottimo in sella a una bicicletta senza alcuna tutela se non un caschetto messo a disposizione dall' azienda».
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Molte le reazioni anche da parte della politica a partire da Marco Grimaldi (Leu), che ha assistito alla lettura del verdetto accanto ai lavoratori: « Questa è la prima sentenza sulla gig economy in italia - afferma - ma ce ne saranno altre, anche perché i lavoratori e le lavoratrici delle altre piattaforme si stanno organizzando » . « La battaglia è politica, non giudiziaria - incalza Pippo Civati (Possibile) - quando le tutele sono state smantellate».