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    “SI SAPEVA CHE SAREBBE ACCADUTO. PERCHÉ NON HANNO LAVORATO PER IMPEDIRLO?” – LIDIA RAVERA E IL DISASTRO ANNUNCIATO DI STROMBOLI: “CHE COSA FA LA PROTEZIONE CIVILE, A PARTE ISPIRARE QUALCHE VIRTUOSA SERIE TELEVISIVA IN CUI I BUONI SPENGONO GLI INCENDI E SALVANO I BAMBINI? STROMBOLI È BELLA, AFFASCINANTE E DELICATA, QUANDO IMPARERANNO A PRENDERSENE CURA?” – “QUESTA NOTTE HO VISTO LA MORTE VICINA COME MAI NELLA MIA LUNGA VITA…”


     
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    Lidia Ravera per “La Stampa”

     

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    Una pioggia insistente, battente, esagerata. Gocce grosse, sonore, fredde. Ci si è ormai abituati, la si chiama «bomba», si smadonna, si ride: «Anche la pioggia non è più quella di una volta».

     

    Ma questa notte a Stromboli, nella casa appoggiata sugli scogli, non si è trattato del solito e sempre più frequente «evento raro», no, questa notte ho visto la morte vicina come mai nella mia lunga vita: dalla portafinestra davanti alla mia camera da letto è entrata una gigantesca lingua di fango e acqua, dotata di una forza oceanica. Ho pensato subito allo tsunami, non potevo immaginare che tanta violenza fosse un effetto collaterale del maltempo.

     

    Poi non ho più pensato: in una delle due stanze affacciate sul vicolo e situate fuori dal corpo centrale della casa, dormivano la figlia più grande di mia nuora con un'amichetta, nell'altra mio figlio con sua moglie e la mia nipotina di sedici mesi. L'ho scoperto dopo che la porta di quella stanza era bloccata dal fango, che dalla finestra sul vicolo entrava un fiume in piena, che un muretto era stato sradicato e ostruendo la strada aveva invaso le nostre case, la mia, quella della mia vicina.

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     Ci siamo cercati nel buio, calpestando pezzi di mobilio spaccati, cercando di uscire da quella trappola infernale. L'ho scoperto dopo che mio figlio aveva frantumato con i gomiti la parte di vetro della portafinestra della sua stanza, mettendo in salvo mamma e bambina. Ho visto la mia morte e ho immaginato la loro. Ho visto mio figlio coperto di sangue.

    Ci siamo chiamati gridando. Non so come sono riuscita a uscire, camminando su ogni arredo affiorato dall'acqua, qualsiasi superficie che non mi facesse sprofondare. Ci siamo ritrovati al piano di sopra, dove abitano i nostri amici, abbiamo picchiato contro la loro porta e ci hanno accolti, scaldati, vestiti.

     

    Poi abbiamo cercato di portare mio figlio alla guardia medica. Le strade erano impraticabili anche per chi non aveva le piante dei piedi coperte di tagli. Non so come sia riuscito, mio figlio, a camminare per un chilometro e mezzo, ma ci è riuscito. La disperazione, l'adrenalina, il sollievo nel vedere la sua bimba addormentata nel letto grande dei vicini di casa, hanno funzionato come stupefacenti. Un elicottero l'ha portato a Messina, dove è stato ricucito con cura.

     

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    La casa è perduta. Gli unici due vigili del fuoco arrivati sul luogo del disastro hanno guardato le porte divelte, i due metri di fango nero, i sassi, gli alberi sradicati sdraiati sul terrazzo e hanno sentenziato: «Non si tratta di giorni o settimane, qui ci vorranno dei mesi». I carabinieri: «Ringraziate che siete tutti sani e salvi». I vigili del fuoco: «È meglio che ve ne andiate perché dovrebbe esserci un altro nubifragio e allora restate isolati. Chi viene più a salvarvi». Se ne sono andati, i vigili del fuoco. Me ne sono andata anche io, acqua e fango fin sopra le ginocchia, tutte le strade bloccate, voragini da attraversare. Un'amica mi ha trovato una stanza nel suo albergo, era tutto esaurito ma qualcuno ha disdetto. Un disastro per l'economia dell'isola.

     

    Eppure si sapeva che sarebbe accaduto. Quando, alla fine di maggio, per un fuoco acceso contro il vento di scirocco da una troupe che filmava una fiction sulla protezione civile, è andata a fuoco l'isola, la gente di qui ha lavorato di pala e pompa per salvare case e giardini. Ce l'hanno fatta, con l'energia sprigionata dagli sforzi collettivi. Quando hanno, a incendio spento, analizzato la catastrofe, hanno scritto a tutti quelli a cui dovevano scrivere: state attenti, non c'è più la barriera della vegetazione, alle prime piogge verrà giù la montagna. È andata esattamente così. Perché non hanno lavorato per impedirlo se lo sapevano? Che cosa fa la protezione civile, a parte ispirare qualche virtuosa serie televisiva in cui i buoni spengono gli incendi e salvano i bambini? Stromboli è bella, affascinante e delicata, quando impareranno a prendersene cura?

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