Silvia Truzzi per "Il Fatto Quotidiano"
Paradise lost (con molte scuse per aver scomodato John Milton). La bufera che agita Linkiesta - quotidiano on line nato nel 2011 e finanziato da un gruppo di imprenditori, manager e finanzieri milanesi - pare nascere da una querelle tra editori e redazione su paradisi assai meno spirituali e decisamente più mondani. Quelli fiscali, che all'improvviso ridisegnano i confini del rapporto tra proprietà e testata. Duro mestiere quello dell'editore: metti i soldi in un prodotto, l'informazione, che per natura dev'essere indipendente. Come comprare un giocattolo e farci giocare un altro.
A Linkiesta, una dozzina di redattori tra Milano e Roma, tutto precipita un paio di settimane fa. Quando il cda decide di chiudere la redazione romana, dove è di stanza anche il condirettore Massimiliano Gallo, licenziato in tronco. Ieri le dimissioni, irrevocabili, del direttore Jacopo Tondelli, cui sono seguite quelle di firme come Michele Fusco e l'editorialista Peppino Caldarola. Nei giorni in cui Wolfgang Munchau, sul Financial Times cita Linkiesta, come testimonianza del fatto che Internet sta uscendo dal ghetto del giovanilismo.
Jacopo Tondelli linkiestaTondelli, ci racconta tutto per bene?
Le cose prendono una brutta piega il giorno dopo l'incontro di Matteo Renzi con gli imprenditori e i finanzieri, organizzato da Davide Serra a Milano.
Ma voi eravate già filo renziani, no?
Infatti il punto non è Renzi. Il giorno dopo usciamo con un pezzo di Fusco in cui si dà conto dell'atmosfera cafona di quella riunione a porte chiuse.
Bè, alcuni dei soci de Linkiesta erano presenti, come Guido Roberto Vitale: forse quello era il problema.
Non solo. I guai veri arrivano quando Bersani parla di "banditi della finanza" facendo eco al Corriere che il giorno prima aveva punzecchiato sulle Cayman, dove ha sede la società di Serra. Si voleva che Linkiesta "facesse una battaglia culturale" pro paradisi fiscali.
Scusi ma Linkiesta nasce come public company, in cui nessuno dei soci può detenere più del 5%. E la trasparenza come bandiera: non molto coerente con l'inno ai paradisi fiscali.
DAVIDE SERRAInfatti da qui iniziano le frizioni e s'intensificano le pressioni su di me. Ma ci sono anche questioni economiche.
Cioè?
La società parla di una impellente necessità di risparmiare. La chiusura della redazione romana vale poche migliaia di euro l'anno. E poi Linkiesta ha appena assunto Marco Alfieri, ex inviato della Stampa, come direttore della neonata casa editrice e inviato speciale del giornale. Assumendosi un onere economico importante.
FOTO DA OGGI - MATTEO RENZISarà il nuovo direttore?
La risposta non compete a me.
Il salotto buono della finanza che magnifica i paradisi fiscali è un po' troppo anche in Italia...
Lo abbiamo segnalato.
In un comunicato (illustrato sul sito con un'eloquente immagine di Quarto potere) la redazione parla anche di gravi malfunzionamenti della piattaforma tecnologica, cui l'azienda ha rimediato con ritardo.
Il sito per mesi ha avuto problemi incredibili di accessibilità: quello sì che era un investimento da fare. . . Quando a gennaio, le cose si sono in parte risolte, abbiamo guadagnato il 20% degli utenti, di colpo.
GUIDO ROBERTO VITALEÈ vero che lei non sapeva del licenziamento del condirettore?
L'ho scoperto la sera di San Valentino, a cena, da due soci e amministratori de Linkiesta. Mi hanno detto che era tutto deciso e che la raccomandata sarebbe partita l'indomani mattina.
Avrà protestato.
Al primo cenno di discussione mi si è detto che la scelta era fatta, e me lo si diceva all'ultimo "per proteggermi".
Inquietante. Da cosa, l'ha capito poi?
Non lo so.
Azzardiamo: speravano che lei si dimettesse o che chinasse la testa?
(alzata di spalle). Non so: dal mio punto di vista potevo solo andarmene.