Estratto dell'articolo di Lisa Robinson per “Vanity Fair”
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Melissa Viviane Jefferson, nata 34 anni fa a Detroit, si è trasferita a Houston quando aveva nove anni – «più campagna che città», mi racconta – ed è cresciuta in una famiglia in cui la madre amava la musica gospel e il padre ascoltava Elton John e Billy Joel.
Ha ricevuto una formazione classica ed è forse la flautista più importante della musica pop dopo Ian Anderson dei Jethro Tull. Il suo successo è arrivato dopo dieci anni di lavoro, lotte e insicurezze. Le sue canzoni, orecchiabili e costantemente in vetta alle classifiche, sono state definite edificanti e positive, sicuramente ballabili: i suoi singoli Truth Hurts, Good as Hell, About Damn Time saranno suonati per molto tempo nelle discoteche.
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Il musicista-produttore Nile Rodgers, leggenda della discomusic, afferma: «La musica è più di un semplice intrattenimento; la gente cerca le energie per affrontare la giornata e le trova in una colonna sonora di grandi canzoni. Lizzo è un’artista straordinaria che con le sue canzoni ha reso migliori gli ultimi tre anni. Con quelle e con il suo atteggiamento, sta dimostrando al mondo che tutto è possibile».
Le parole di Mark Ronson, cantante, musicista e produttore, premio Oscar per la migliore canzone con Shallow, coautore con Lizzo di Break Up Twice per Special, non sono da meno: «Sapevo che Lizzo era una grande autrice e un’interprete fenomenale, ma non ero consapevole di quanto profonda fosse la sua musicalità. L’ampiezza della sua gamma e delle sue influenze è impressionante».
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A scuola è stata vittima di bullismo e si è sempre sentita «diversa», anche se non sa se in meglio o in peggio. Mentre i compagni di scuola si fissavano sul rap – che anche lei adorava, soprattutto quello di Houston – Lizzo si apriva alla musica rock, in particolare ai Radiohead. «Era una scuola di neri», racconta, «per lo più neri, ma anche marroni, caraibici, avevo amici nigeriani... Ascoltavano quello che passava la radio: Usher, Destiny’s Child, Ludacris. Io andavo matta per OK Computer dei Radiohead. Lo tenevo nascosto, anche quando facevo parte di una rock band, perché non volevo essere presa in giro dai miei coetanei: mi avrebbero urlato “Ragazza bianca!”. Inoltre, indossavo quei pantaloni a zampa d’elefante con dei ricami e mi dicevano: “Sembri una ragazza bianca, perché vuoi sembrare una hippie?”. Quello che volevo in realtà era essere accettata, l’isolamento fa davvero male».
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E aggiunge: «Il mio meccanismo di difesa era l’umorismo. Sono diventata il clown della classe, esibivo una sicurezza che non avevo. Ho quella tipica ansia sociale, per cui più sono stressata più divento forte e divertente». «Non sapevo che sapesse cantare», dice la madre, «ma ha sempre avuto una voce molto definita e potente. E sapevo che avrebbe usato la sua voce per qualcosa». Dopo il successo della figlia, il loro ottimo rapporto si è addirittura rafforzato. «Parliamo al telefono tutti i giorni», confida la madre, «anche se non mi preoccupo per lei, perché è cresciuta con sani valori. Credo che la famiglia ti aiuti a rimanere con i piedi per terra, a ricordare il tuo vero scopo».
Oltre al rapporto con la famiglia c’è quello con i social media, che vede Lizzo relazionarsi con oltre 25 milioni di follower su TikTok e quasi 13 milioni su Instagram. [...]
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Quando le domando se si è stancata di tutti i discorsi sulla «body positivity», mi risponde che no [...] «Si sta domandando che cosa succederebbe se perdessi peso? La mia musica e il mio peso sono così intrinsecamente legati che se dovessi perdere peso, perderei fan o autorevolezza? Non m’interessa! Ho uno stile di vita molto sano: mentalmente, spiritualmente, cerco di mantenere pulito tutto ciò che metto nel mio corpo. La salute è una priorità, ovunque mi porti fisicamente. Non sono vegana per perdere peso, semplicemente mi sento meglio quando mangio vegetali. Ma», ammette, «proprio quando pensi di aver capito tutto, le cose cambiano di nuovo. Mangio quando sono stressata, a volte fino al punto di non rendermi conto di quanto ho mangiato.
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Tutto può essere dannoso, ma in un certo senso questo mi conforta. È sbagliatissimo associare l’aumento di peso alle cose negative che lo causano. Il cibo è una cosa meravigliosa che ci nutre, negativo è lo stress, non i 10 chili in più o in meno. Mi sento molto fortunata perché non considero più l’aumento – e nemmeno la perdita – di peso un male. È neutrale. Il cibo è anche divertente. Mi piace mangiare, ora ho uno chef e non ci penso. Ieri sera ho mangiato un brownie».
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