Federico Fubini per il Corriere della Sera
JUNCKER RENZI
Mai sottovalutare da dove vengono, o il bagaglio che si tirano dietro. Forse è perché racchiude tante vite in una, che Jean-Claude Juncker riesce a essere molti leader diversi dentro la stessa giacca grigia. Lui si protegge in un guscio da classico, cauto, cocciuto democristiano del '900 e come Giulio Andreotti non dimentica niente - conserva un archivio di ritagli - senza ricordare mai niente in pubblico.
Poi però dietro la corazza coltiva la reattività per i duelli dei tempi che corrono: 140 lettere, improperi inclusi. Secco e veloce come Matteo Renzi, il collega di vent' anni più giovane.
Questo spiega forse perché il 62enne presidente della Commissione Ue - di nuovo in polemica con il premier italiano - è quanto di più simile l' Unione Europea abbia a un uomo che visse due volte. Letteralmente, in primo luogo: quando aveva 35 anni e stava per diventare ministro in Lussemburgo, un incidente d' auto lo sprofondò in coma per due settimane. Più ancora però Juncker resta un animale politico dalle molte vite, perché più di chiunque altro incarna la storia dell' Unione Europea.
RENZI JUNCKER
La tira fuori solo a sprazzi, involontariamente. Juncker pianse durante un vertice in Ucraina nel 1997, allora già premier, ricordando che suo padre venne coscritto a forza dalle forze d' occupazione naziste in Lussemburgo e ferito in combattimento a Odessa. Per lui, figlio di un operaio siderurgico, cresciuto fra i migranti italiani delle miniere del Granducato, divenuto premier a 40 anni, l' Europa resta un disegno vitale di riconciliazione e convivenza.
Ma è vissuto due volte, il presidente della Commissione, anche perché è il solo leader ad aver firmato il Trattato di Maastricht nel 1992 ed essere ancora qui, un quarto di secolo dopo, a cercare di farne un successo. Un uomo così può essere tremendamente prevedibile, un esperto di riti, ma anche il suo opposto.
Juncker Mogherini
Nel 2004 all' Europarlamento fece un robusto pat-pat da dietro sulla testa di Silvio Berlusconi, allora già visto con sospetto in Europa. Di Juncker è la frase che riassume i dilemmi dei governi in questi anni: «Sappiamo tutti cosa dobbiamo fare, non sappiamo come essere rieletti dopo averlo fatto». Suo anche il ritratto di quel luogo pieno di trappole chiamato Bruxelles in tempi di crisi: «Quando il gioco si fa duro, devi mentire».
il palazzo della commissione europea a bruxelles
Un presidente della Commissione così, intriso di saggezza e sarcasmo, fumatore seriale, rincorso dalle voci sul suo amore per l' alcol, con Renzi poteva solo scontrarsi. Accade ciclicamente, un rito bi-annuale fra democristiani taglienti. A metà gennaio di quest' anno avvertì l' italiano, che continuava a criticare «i burocrati di Bruxelles» perché non aveva ancora incassato luce verde al suo bilancio: «Mi sorprende che Renzi si attribuisca meriti di aver introdotto la flessibilità di bilancio in Europa, perché sono stato io. Non capisco perché lo faccia».
Seguirono risposte vivaci da Roma («non ci facciamo intimidire»), l' invito da Bruxelles all' Italia a indicare un interlocutore nei negoziati e poi la riconciliazione di primavera scorsa. L' interlocutore fu individuato in Carlo Calenda, che fu subito richiamato da Bruxelles a Roma come ministro per lo Sviluppo (oggi Calenda mantiene spesso contatti con la Commissione). Poi la legge di Bilancio 2017 del governo che di nuovo riporta in alto mare gli accordi di primavera scorsa, le perplessità in Europa, ed era solo questione di tempo prima che Renzi riprendesse a criticare «i burocrati».
MATTEO RENZI BULLO MARIA ELENA
Di recente alcuni in Commissione hanno soprannominato Renzi « le virevoltant »: «il piroetta», ma è anche il nome di un cespuglio spinoso che rotola al vento. È a questo punto che Juncker per la seconda volta in pochi mesi ha tuonato: «Se l' Italia ci attacca, me ne frego». Reazioni tanto viscerali non gli erano sfuggite neanche per l' uomo forte ungherese Viktor Orbán. Dopo aver concesso a Roma 19 miliardi di deficit in più, dopo aver proposto la redistribuzione dei migranti in Europa e aver lanciato un fondo di cui l' Italia è seconda beneficiaria, Juncker si aspettava parole meno abrasive.
Stavolta colpisce il silenzio dal resto d' Europa, neanche l' italiana della Commissione Federica Mogherini sta cercando di ricucire. Alla fine magari l' accordo, come sempre, si troverà: fa parte anche quello del modo che hanno i democristiani di non piacersi a vicenda.